Ultimo Aggiornamento:
17 aprile 2024
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Lo spreco di suolo in Italia

Tiziano Tempesta * - 17.11.2015
ISPRA

Il suolo costituisce una componente fondamentale di ogni ecosistema, sia esso naturale sia esso antropico, e non è quindi il mero supporto fisico delle attività umane. Il suolo è in grado di produrre numerosi servizi ecosistemici tra i quali vanno ricordati: la funzione produttiva primaria, la funzione di regolazione del ciclo dell’acqua, la funzione di regolazione dei cicli degli elementi fondamentali per la vita, la funzione di conservazione della biodiversità, la funzione di regolazione climatica dovuta alla capacità del suolo di immagazzinare anidride carbonica grazie all’accumulo di sostanza organica. Il consumo di suolo in generale può essere definito come la riduzione della capacità dei suoli di produrre uno o più dei servizi ecosistemici richiamati. I fattori che possono causare il consumo di suolo sono molteplici anche se sicuramente quello che ha assunto maggiore rilevanza nei paesi sviluppati a partire dalla seconda metà del Novecento è l’urbanizzazione dei terreni coltivati.

Si noti però che il trasferimento di fattori di produzione e risorse da settori a bassa produttività a settori ad alta produttività costituisce uno dei motori dello sviluppo economico. Ciò vale sia per il capitale e il lavoro sia per la terra e le altre risorse naturali. Quindi, lo sviluppo economico comporta necessariamente un trasferimento di suolo da usi primari ad usi che potremmo definire urbani in senso lato: la città è da sempre il motore dello sviluppo economico. Non è quindi in discussione il fatto che durante alcune fasi della crescita economica il suolo sia trasferito dall’agricoltura ad altre attività in grado di generare un maggiore flusso di reddito per unità di superficie. Il vero problema è che si sono innescati enormi fenomeni di spreco di aree coltivate e che non si sono mai valutati i costi sociali dell’artificializzazione di suoli.

La finanziarizzazione dell’economia ha comportato specialmente dopo la metà degli anni Novanta una crescente finanziarizzazione anche di tutte le attività connesse alla trasformazione del territorio. L'investimento nell’edilizia è divenuto spesso un obiettivo a se stante e per molti versi scollegato dall’andamento reale della domanda di aree residenziali e produttive. Spesso dietro la realizzazione di grandi opere infrastrutturali si è celato in realtà l’obiettivo della creazione di aspettative di rendita urbana. Una grande opera viaria infatti modificando l’accessibilità del territorio ne trasforma radicalmente l’appetibilità a fini insediativi. Alla redistribuzione dell’aspettativa di rendita nel territorio consegue la sostanziale obsolescenza di molte aree già urbanizzate e questo meccanismo innesca un perverso meccanismo di spreco di suolo.

In questa logica rientra anche il fenomeno dello sprawl urbano che presenta due elementi fortemente deleteri per quanto attiene il consumo di suolo. Da un lato favorisce il diffondersi un uso estensivo del territorio a fini residenziali. Più ci si allontana dai centri urbani più aumenta in genere la quantità di aree edificate pro capite. In secondo luogo, favorisce il diffondersi delle aspettative edilizie in molte zone coltivate, specie se poste lungo la rete viaria anche di tipo minore.

Questi processi non sono più sostenibili, poiché la perdita dei servizi ambientali forniti dal suolo sta già creando rilevanti problemi alla capacità dell’agricoltura italiana di soddisfare la domanda interna. A partire dalla seconda metà degli anni Ottanta la quantità di biomassa vendibile prodotta dall’agricoltura è andata progressivamente contraendosi poiché l’incremento delle rese dovuto alla selezione genetica all’utilizzo di presidi chimici non è più stato in grado di compensare la perdita di suoli coltivati. Dopo aver raggiunto un picco di 4,92 quintali di biomassa vendibile per abitante negli anni Settanta, le capacità produttive del settore primario in Italia si sono progressivamente ridotte fino a raggiungere un valore di 3,68 quintali pro capite: uno dei valori più bassi dall’Unità d’Italia. Ciò trova per molti versi spiegazione nel fatto che l’urbanizzazione del suolo in Italia ha subito una brusca accelerazione proprio a partire dagli anni Settanta.

Se negli anni Venti del Novecento la superficie coltivata per abitante italiana era di poco superiore a mezzo ettaro, negli anni Sessanta era scesa a circa0,39 ettarie negli anni Duemila si è drasticamente abbassata a0,23 ettari. Del resto un confronto a livello europeo pone in evidenza che l’Italia con il 7,8% del suolo artificializzato si situa largamente sopra la media europea (4,6%) e sopravanza tutte le maggiori nazioni (Germania, Francia e Inghilterra) pur avendo un territorio molto più montuoso. Stando alle stime pubblicate dall’ISPRA nel 2015, ormai più del 10% delle aree potenzialmente edificabili è stato artificializzato, aree che, del resto, sono in massima parte anche quelle più vocate per la coltivazione.

Ne risulta, in definitiva, l’urgenza che siano avviate politiche volte a contenere il consumo di suolo favorendo in primo luogo il recupero dei numerosissimi fabbricati residenziali o produttivi inutilizzati.

 

 

 

 

* Docente di Estimo Territoriale e Ambientale presso il Dipartimento Territorio e Sistemi Agro-Forestali dell'Università di Padova