Ultimo Aggiornamento:
27 aprile 2024
Iscriviti al nostro Feed RSS

L'analisi del sabato. I "nodi" delle primarie

Luca Tentoni - 05.12.2015
Antonio Bassolino

Anche se il Presidente del Consiglio afferma che il referendum confermativo costituzionale dell'autunno 2016 sarà il vero snodo politico della legislatura, le elezioni comunali di primavera restano un ostacolo da superare. Un conto, infatti, è presentarsi all'appuntamento col giudizio popolare sulla revisione del bicameralismo e del Titolo V della Costituzione sulla scia di buoni risultati nelle principali città del Paese, un altro conto è arrivarci dopo almeno tre mesi di polemiche (inevitabili) seguite all’eventuale perdita, per il Pd, di uno o più capoluoghi di regione. Nella "narrazione" (come si dice ora) e nella costruzione, oltre che nel mantenimento del consenso, l'azione di governo non sempre è sufficiente, così come non basta una ripresa economica che si preannuncia non impetuosa (condizionabile, peraltro, da un clima internazionale diventato fosco dopo gli attentati di Parigi). Puntare tutto sul referendum confermativo è tipico di Renzi, che negli ultimi due anni ha (quasi) sempre "dettato l'agenda" mediatica e politica nazionale. Se però il Presidente del Consiglio fa bene a concentrare i suoi sforzi e a fissare il suo obiettivo di breve-medio termine sulla revisione costituzionale e sul "sì" degli italiani a quello che è certamente l'atto più significativo del suo governo e dell'intera legislatura, il segretario del Pd ha qualche nodo in più da dover sbrogliare. A livello locale i Democratici avvertono la necessità di impegnarsi al massimo per mantenere i grandi comuni che, con o senza un proprio sindaco, già governano (Roma, Milano, Torino, Bologna, Cagliari) e riconquistare Napoli. La situazione non è facile: la Capitale è commissariata, a Napoli non emerge (salvo, forse, Bassolino: ma è un'ipotesi tutta da verificare) un candidato che possa almeno arrivare al ballottaggio. Il principale avversario, in queste due città, è il M5S, che è accreditato di un buon risultato, soprattutto a Roma. Anche nei comuni del Nord, tuttavia, il movimento pentastellato appare in grado di fare da terzo incomodo fra il Pd e un centrodestra che - almeno a livello locale - sembra potersi ricostituire, appena in tempo per le prossime elezioni amministrative. A Milano, in particolar modo, il duello principale sembra fra centrosinistra e centrodestra. Tutto dipende dai candidati che Salvini, Berlusconi e Meloni sceglieranno per i comuni più prestigiosi (a Roma, ad esempio, la partita è aperta anche al centrodestra). Nel caso del M5S, invece, è possibile che il simbolo traini candidati poco noti all'opinione pubblica, sempre che non si decida di schierare leader nazionali (l'ipotesi, al momento, appare ancora flebile). Il problema del Pd, in alcune realtà locali, non è solo la concorrenza dei partiti e degli schieramenti avversi. È anche il difficile rapporto col territorio, unito alla necessità di scegliere una classe dirigente che sia riconosciuta, non solo dalla base, ma anche dagli elettori come capace di amministrare le città. Qui s'inserisce la disputa sulle "primarie", resa ancor più aspra da quando l'ex sindaco di Napoli ed ex governatore della Campania Antonio Bassolino ha deciso di candidarsi per le elezioni comunali nel capoluogo della sua regione. La concomitanza di tanti rinnovi delle amministrazioni comunali mette il Pd di fronte a scelte ben precise, che difficilmente potranno essere modulate a seconda delle circostanze. È possibile e ragionevole  stabilire che in alcuni centri è il partito a indicare il candidato oppure a ricandidare il sindaco uscente e che in altre realtà si deve ricorrere alle primarie. Ma è meno praticabile, sul piano politico, differenziare l'elettorato attivo e passivo di questo tipo di consultazioni. È difficile spiegare, per esempio, che in una città l'ex sindaco non può ricandidarsi, che le primarie non sono di coalizione ma di partito e che gli elettori, poniamo, debbono sottoscrivere un documento nel quale s'impegnano a sostenere comunque alle comunali il candidato che vincerà la competizione preliminare, se in un'altra città le primarie sono di coalizione, aperte praticamente a tutti e senza criteri di incandidabilità. Le primarie, nella storia del Pd, hanno avuto una funzione di mobilitazione e di partecipazione popolare nelle scelte del partito e dell’intero centrosinistra, perciò vanno regolate in modo uniforme per tutti i comuni nei quali non si opterà per la designazione diretta del candidato sindaco da parte degli organismi locali (o nazionali) dei Democratici. Secondo una recente indagine dell'istituto IPR Marketing pubblicata dal Quotidiano Nazionale, l'87% dei votanti del Pd vorrebbe scegliere i candidati con le primarie (il 61% le vorrebbe addirittura, come spiega Antonio Noto, persino per la ricandidatura di un sindaco uscente). Le primarie, però, sono uno strumento di selezione, non un sondaggio sul vincitore delle elezioni. Alle comunali di Venezia e alle regionali liguri, lo scorso anno, chi ha prevalso alle primarie ha poi perso le elezioni, in contesti non molto favorevoli per contingenza, sebbene storicamente propizi. Il partecipante alle primarie non sempre è pienamente rappresentativo della posizione dell'elettorato propenso a votare il partito alle comunali: può essere più a sinistra, più a destra, più o meno gradito ad una platea ampia, più o meno capace di portare consensi aggiuntivi al partito. Inoltre, c'è il problema delle alleanze: alle comunali si vince col 50% più uno dei voti, perciò bisogna trovare compagni di strada. In questo caso, le primarie di coalizione vanno preferite a quelle organizzate dal solo Pd? E, se sì, come va configurata ciascuna alleanza locale? Con la sinistra (Sel e altri soggetti politici) o col centro (Ncd-Udc-Ap) o (difficilmente) con entrambi? Inoltre, bisogna calibrare la scelta del candidato rispetto al contesto, cioè ai candidati avversari: per esempio, ce ne sono altri a sinistra? Formare un programma e una coalizione è altrettanto importante che trovare un candidato valido in grado di trainare le liste alleate (e di non farsi "trascinare" da queste). Il Pd deve sciogliere tutti i nodi ai quali abbiamo fatto cenno: la "forma" delle primarie, le alleanze, la scelta di alcuni candidati senza passare per le consultazioni preliminari, ma soprattutto delineare il "campo" politico nel quale si intende cercare il massimo consenso utile per vincere le elezioni (possibilmente, senza scoprirsi troppo a destra o a sinistra). Qui, il segretario del Pd ha almeno tre opzioni percorribili: lasciar fare ai dirigenti locali; scegliere personalmente alcuni candidati, rinviando gli altri casi alle primarie, senza cambiare le regole usuali; cambiare i meccanismi delle primarie. La terza scelta è una variante della seconda, ma non è incompatibile neanche con la prima. Qui torniamo al problema politico: poichè le elezioni amministrative della primavera 2016 non saranno affatto un test trascurabile e di secondo ordine, ma potranno creare un clima favorevole o sfavorevole al Pd e di conseguenza alle prospettive del governo (in vista del referendum confermativo di ottobre-novembre), sarà fondamentale capire quanto impegno Renzi intenderà dedicare a questo appuntamento con le urne. Non da presidente del Consiglio, verosimilmente. Ma da segretario di un partito che a livello locale vive una fase di ripensamento e in certi casi di travaglio. Il gioco, del resto, è difficile. Avendo conquistato, la scorsa volta, tutti i grandi capoluoghi di regione dove si vota tranne Napoli, i risultati favorevoli sono solo due: il mantenimento delle posizioni o la conquista della "capitale" campana. Tutti gli altri esiti sono invece forieri di polemiche e di potenziali guai, in primo luogo per le classi dirigenti locali, ma - a seconda di quanto il segretario del Pd intenderà esporsi - anche per Renzi. Insieme a tutte le questioni che riguardano la scelta dei candidati sindaci (primarie, coalizioni) si pone, dunque, anche quella di quanto il leader del maggior partito italiano possa o voglia rischiare di intaccare la sua immagine a pochi mesi da quel referendum confermativo che - in caso di vittoria dei sì - può rappresentare per Renzi il coronamento di un progetto politico e un formidabile slancio verso una possibile affermazione alle successive elezioni parlamentari.