La vigilia
L’attenzione si appunta sull’apertura dei lavori delle due Camere, anche se i media fanno a gara a spiegarci che tutto o quasi è praticamente deciso, sia per le presidenze che per le strategie per formare il futuro governo. Come sempre non è così, ma il gioco ad accaparrarsi la palma del “noi lo sapevamo già e ve l’avevamo anche detto” ha sempre il suo fascino.
In realtà ben poco è chiaro. Innanzitutto non si capisce ancora cosa guiderà la scelta finale dei due presidenti. Lasciamo da parte le rituali affermazioni sulla necessità di figure di alto spessore che diano automaticamente lustro alla seconda e terza carica dello Stato: fra quelle che ci vengono propinate non ce ne sono. Poco spazio sembra trovare al momento anche l’ipotesi di dare una camera alla maggioranza ed una alla opposizione, per la semplice ragione che una maggioranza non c’è e di conseguenza si fatica a capire chi possa rappresentare l’opposizione nel suo complesso. Oltre tutto questa prassi è stata una parentesi nella storia della repubblica essendo stata in vigore solo dal 1972 al 1992, cioè vent’anni su settanta. Per il resto le maggioranze si sono prese entrambe le Camere, semmai spartendosele fra i membri della coalizione di governo, giusto per regolare qualche conto al loro interno.
Resta dunque il tema di usare le due posizioni come affermazione del proprio peso da parte delle forze che si ritengono in posizione chiave e questo è quanto si accingono a fare Cinque Stelle e Lega. Le persone con cui centrare l’obiettivo hanno una loro importanza, ma anche relativa: preminente il colpo d’immagine del piantare la propria bandierina sul fortino conquistato.
Abbiamo anche qualche perplessità che il Presidente della Repubblica possa trarre chissà quali indicazioni dall’esito di quelle votazioni, se non per farsi un’idea del grado di ragionevolezza che si può trovare nei gruppi dirigenti dei partiti. Parliamo di quelli, perché la gran massa degli eletti, essendo in maggioranza neofiti, non avrà al momento modo di emergere. Per quel fine però Mattarella dovrebbe esserci già fatto un quadro, visto l’attivismo di quei gruppi fra il 5 marzo ed oggi.
Giustamente l’inquilino del Quirinale non ama che si pensi che sta preparando una qualche soluzione di suo gradimento. Anche se non fosse quel severo cultore delle prassi costituzionali di rito che è, si tratta pur sempre di un politico di lungo corso che ha perfettamente chiaro come la situazione sia così ingarbugliata da non permettere lo svolgimento di un sereno potere di indirizzo. Non ci sono proprio i margini per farlo e dunque il presidente sarà costretto a navigare a vista giorno per giorno.
Fra il resto non è possibile sapere come si muoverà il “contorno” durante i giorni e forse le settimane delle votazioni per le presidenze delle Camere e poi per la formazione del nuovo governo. Se sul primo versante oggi si fanno previsioni di tempi brevi (ma poi nel concreto si vedrà), sul secondo sono molto probabili tempi lunghi, con incarichi esplorativi che falliscono e che dunque si susseguiranno per un certo tempo. Si esclude che Mattarella consenta a qualcuno di andare a cercare alle Camere una maggioranza alla cieca, per la semplice ragione che per fare questo ci dovrebbe essere un governo costituito e operativo (che giura ed entra in carica prima di affrontare il voto di fiducia delle Aule) e che questo, ove fosse battuto, sarebbe costretto a restare in carica per l’ordinaria amministrazione, perché il precedente sarebbe cessato. Come si può immaginare un bel pasticcio, perché significherebbe non avere un governo per un certo periodo di tempo, cioè sino a che un nuovo incaricato non riuscisse a formarne un altro e ad ottenere la fiducia (il che potrebbe significare anche un tempo non breve …).
Ora la questione banale su cui interrogarsi è: ma cosa succederà durante l’andirivieni di esplorazioni che falliscono? Rispondere è impossibile, perché nessuno scenario è scontato. Può darsi infatti che per esempio il sistema economico internazionale consideri pericolosa la situazione e che si faccia sentire mettendo sotto pressione i nostri equilibri finanziari, ma può anche darsi che ritenga che è nel suo interesse un paese debole e confuso, visto che ciò non impedirà di fare affari con la sua parte efficiente, mentre bloccherà qualsiasi velleità italiana di farsi valere o almeno esercitare un ruolo nelle sedi internazionali.
Quel che si è detto per l’economia vale anche per molti altri settori della vita pubblica interna e internazionale. Certo nell’uno come nell’altro caso per il sistema-paese non andrà bene e il conto prima o poi ci verrà presentato. Abbiamo però più volte ripetuto in questa sede che un ricorso rapido ad una nuova tornata elettorale è tecnicamente difficilissimo ed in ogni caso sarebbe traumatico al massimo grado. Di conseguenza le soluzioni a disposizione sono sostanzialmente due, entrambe deboli. La prima è la formazione di una maggioranza costringendo il PD ad un appoggio esterno o dei Cinque Stelle o della coalizione di centrodestra. Sarebbe una soluzione pasticciata anticamera di un ritorno alle urne reso traumatico dal fallimento dell’operazione in tempi brevi e dalle recriminazioni sulla sua impostazione. La seconda è la formazione di un governo di tregua senza un connotato politico proprio: un’impresa però assai ardua in questo paese in cui quasi tutti coloro che agiscono nella vita pubblica amano indossare la maglietta di qualche squadra politica, sicché non sarebbe facile che un simile governo ottenesse la fiducia per vararlo e poi riuscisse a mantenerlo a lungo.
di Paolo Pombeni
di Aurelio Insisa *