La saga dell’aceto balsamico
Secondo la Corte di Giustizia della Ue, Belema produttore tedesco di aceto può porre sui suoi prodotti l’etichetta “Deutscher Balsamico” senza violare le tutele previste nella Ue per l’aceto balsamico di Modena, che ha aperto la causa. Il consorzio modenese protesta: non si può porre l’aggettivo “balsamico” su prodotti tedeschi. Da dicembre attende il terzo grado di giudizio per poi muoversi eventualmente sul piano giuridico e su altri fronti con nuove iniziative. La saga dell’aceto di Modena fa riflettere. Sono tre gli aceti balsamici italiani riconosciuti. L’Aceto Balsamico di Modena IGP, che può essere prodotto nelle province di Modena e Reggio. Poi c’è l’Aceto Balsamico Tradizionale di Modena DOP che proviene solo dalla provincia di Modena. E infine c’è l’Aceto Balsamico Tradizionale di Reggio DOP esclusivamente dalla provincia di Reggio. E’ quasi impossibile trovare consumatori (italiani) che apprezzino le differenze (ma quali) tra i primi due aceti di Modena. In più uno dei due può venire anche dalla provincia di Reggio che però ha in concorrenza un suo prodotto esclusivo e certificato. I consorzi di tutela hanno giocato sulle differenze tra IGP (indicazione geografica protetta) e DOP (denominazione di origine protetta), anche queste impossibili da cogliere da parte della quasi totalità dei cittadini italiani e stranieri. La realtà è che l’aceto balsamico italiano è tutelato tre volte a fotocopia perché conteso da tre consorzi nati in terre vicine con medesime tradizioni culinarie. Non essendo l’appellativo “balsamico” utilizzato in esclusiva per un unico aceto ed una unica provenienza, diventa un aggettivo comune e non se ne può impedire l’uso in altre aree. Se qui finisce la questione linguistica (e giuridica), se ne apre un’altra ben più seria alla quale i produttori di aceto balsamico dovrebbero rispondere. La produzione dell’aceto balsamico in Emilia è dispersa tra una miriade di piccolissime aziende capaci di prodotti di altissima qualità ma anemiche sotto il profilo commerciale soprattutto fuori dai confini d’Italia per varcare i quali la piccola dimensione rappresenta un pesante handicap. Questa debolezza è aggravata dalla molteplicità di consorzi e denominazioni mentre sarebbe necessario averne uno solo e robusto. In tali condizioni non è facile sopravvivere come dimostra la forte crisi del settore. Per uscirne occorre cominciare col porre un freno al particolarismo che genera confusione nei consumatori, debolezza nei mercati esteri e impossibilità di tutelare veramente la miriade di denominazioni alcune delle quali davvero cervellotiche. Piuttosto che insistere in contenziosi poco comprensibili dai consumatori europei, è meglio mettere ordine nelle tutele italiane, sfoltirle, renderle più trasparenti, controllare con severità la qualità e abbandonare le contrapposizioni sterili tra campanili. La vicenda dell’aceto balsamico ci deve far capire che non è il caso di andare troppo orgogliosi del primo posto dell’Italia nella Ue per le quasi 300 denominazioni IGP e DOP certificate la cui lista lascia perplessi. Non abbiamo solo 3 aceti balsamici prodotti allo stesso modo con gli stessi dialetti. Troviamo anche quattro denominazioni IGP DOP di asparago bianco, di cui due, quello di “Badoere” e quello di “Cimadolmo” coltivati entrambi nelle campagne di Treviso. Ma quali sono le specificità apprezzabili da chi li mette in tavola?
di Gianpaolo Rossini
di Francesco Provinciali *
di Claudio Ferlan