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La politica rude

Paolo Pombeni - 20.08.2015
Mons. Nunzio Galantino

Il dibattito politico nell’ultima fase si è incentrato attorno alle polemiche per le parole pronunciate in alcune occasioni da mons. Galantino, segretario della conferenza episcopale italiana. E’ un caso a suo modo curioso e interessante, perché mostra quanto sia cambiata la politica italiana.

La prima cosa che ha colpito gli osservatori è stato naturalmente il mutamento di linguaggio da parte di un membro dell’episcopato: non più toni felpati o aulici, ma un lessico diretto che riflette immediatamente il modo di ragionare della gente. Il caso di un vescovo che sferza i politici non è certo una novità: per non andare troppo indietro si possono ricordare per esempio i giudizi dell’allora vescovo di Bologna Giacomo Biffi. Non erano certo frasi tenere, ma il fraseggio era abulicamente moraleggiante.

Mons. Galantino ha invece usato toni rudi prendendo di petto due fenomeni che sono oggetto di critica diffusa, anche se da parte della gente, perché invece i media li monumentalizzano nelle interviste e nei talk show. Il primo fenomeno è quello dei “piazzisti della politica”, cioè la frotta di populisti arrembanti che alla perenne caccia di voti strumentalizzano le paure della gente e propongono soluzioni improbabili, prima ancora che inaccettabili, ai grandi drammi del nostro tempo. Il secondo fenomeno riguarda con tutta evidenza il parlare a vanvera contro le riforme in discussione agitando lo spettro del predominio di una politica di “nominati” contro quella degli eletti dal popolo per libera scelta. Anche qui mons. Galantino ha semplicemente dato voce a ciò che molta gente pensa: ma questi che conducono una campagna del genere non solo essi stessi semplicemente dei “nominati” visto che si sa bene come vengono formate le liste dei partiti? E allora perché si stracciano le vesti per uno scandalo che semmai è già in essere e di cui sono parte? Non è forse perché da bravi “furbini” hanno capito che comportarsi così fa guadagnare spazi e ruoli nel gran circo mediatico?

Se mons. Galantino avesse espresso questi concetti in forma più aulica e retoricamente forbita le sue parole non avrebbero destato gran scalpore, perché esprimono constatazioni che sono largamente condivise. Lo hanno fatto perché sono state espresse appunto con un linguaggio rude e molto vicino al modo informale di ragionare della vita quotidiana. Hanno suscitato allarme perché in quella forma sono penetranti e recepibili da una audience su cui, espresse in forme più paludate, sarebbero scivolate via senza venir prese in particolare considerazione.

La seconda cosa che ha colpito è stata la reazione, pressoché unanime, della classe politica di fronte a questa presa di posizione. Non si è accettato che un uomo di chiesa, anzi un uomo del vertice della chiesa, adottasse quel linguaggio, permettendosi, se così posso dire, di mettere i piedi nel piatto. Da un lato i”piazzisti” hanno trovato ottima l’occasione per rilanciarsi nel gran circo mediatico rendendo pan per focaccia. Abbiamo assistito ad un tripudio di attacchi ai “vescovi rossi”, ai “preti comunisti” e cose similari, quale non si assisteva da tempo. Normale? Fino ad un certo punto, perché è stata la testimonianza di quanto ormai la religione cattolica sia considerata come un fenomeno di minoranza, perché anche quella parte del paese che ancora si sente ancorata alla sua tradizione, alla fine ne ha una percezione “fai da te” (e difatti Salvini e compagni si sono buttati a giudicare che chi parlava non rappresentava il “vero” cattolicesimo, di cui un po’ di sfuggita affermano di far parte, perché quello sarebbe rappresentato da un altro genere di clero).

Accanto a questo tipo di reazione ce ne è stata una di pressoché tutta la classe politica, compresa quella di derivazione cattolica, che si è risentita di essere bollata “di nominati” ed ha respinto la definizione. Questo è forse l’aspetto più curioso dell’intera storia, perché almeno i politici più responsabili potevano ben sapere che il sistema d selezione delle candidature è in mano a complesse alchimie delle direzioni dei vari partiti, sicché semmai era da discutere vuoi della inevitabilità di un sistema di selezione, vuoi di come renderlo il meno nepotista e clientelare possibile.

In realtà una politica in crisi di credibilità si è subito preoccupata dell’effetto di denuncia di un fenomeno reale che la delegittimava ed ha temuto, ovviamente non senza qualche ragione, che ciò alimentasse le fila del distacco dalla partecipazione già molto evidente nella continua crescita dell’astensionismo elettorale.

Non crediamo di andare lontani dal vero se notiamo che in tutti c’è la preoccupazione crescente per quello che potrà essere il nuovo ruolo della chiesa cattolica nella prossima tornata elettorale di primavera 2016. Oggi non è più questione che dai pulpiti si possano orientare i voti verso l’una o l’altra parte, perché è un fenomeno, se esiste, ridotto ai minimi termini, quanto piuttosto che un’autorità che è comunque in grado di “comunicare” (anche per il successo del pontificato di papa Francesco) entri in campo per sconvolgere il residuo patrimonio di “identificazione” che forma lo zoccolo duro del consenso di ciascuno dei partiti.

Con un elettorato sempre più mobile, parole che mettono a nudo certe retoriche spregiudicate per il mantenimento della fedeltà nel voto, a destra come a sinistra, possono contribuire a rendere sempre più difficile lo sfondamento dei recinti di consenso di ciascuna forza in campo.