La politica del Babau
Perdonate se la prendiamo alla leggera, ma l’attuale andazzo delle schermaglie politiche ci fa venire in mente la strategia che si segue, sbagliando (pedagogisti e psicologi criticano), per convincere i bambini a non fare qualcosa: attento, se ti comporti così viene il babau e ti mangia.
Nel caso della politica il babau è alternativamente la minaccia che i due autoproclamati vincitori fanno di cambiare cavallo o di rimandare il paese alle urne. Il cambio di cavallo suppone che si disponga di un altro destriero su cui salire senza finire disarcionati. Il ritorno alle urne non dipende solo dai “vincitori”, perché ci vuole quanto meno il consenso del Presidente della Repubblica. In entrambi i casi non sembra che al momento ci siano le condizioni perché le minacce vengano prese sul serio, e questo spiega lo stallo almeno momentaneo.
Si dice che tutto sommato si punti a far passare il tempo perché maturino le condizioni per una soluzione, sia essa un’ipotesi di accordo per formare una maggioranza, sia essa il consenso su un periodo di tregua per riportare il paese alle urne, ma in maniera ordinata e col minor numero possibile di traumi. Il vero problema che abbiamo di fronte oggi è se sia realistico pensare che davvero la maturazione di una soluzione sia solo questione di tempo.
Chi punta su questa ipotesi, ritiene che il blocco nelle trattative dipenda in sostanza da questioni di immagine che sono un lascito della campagna elettorale. Basterà dare il tempo perché la polvere di quelle zuffe si depositi, perché tutti si arrendano al fatto che le campagne elettorali si basano su slogan buttati lì giusto per fare impressione, perché si trovino gli escamotage per contrabbandare per obiettivi raggiunti dei provvedimenti aggiustati sulle parole. Così basterà far passare per reddito di cittadinanza un po’ di allargamento dei sussidi alla povertà, per flat tax qualche aggiustamento delle aliquote, per espulsione dei clandestini un buon numero di foglio di via, per cancellazione dei vitalizi qualche intervento con prelievi di solidarietà. Naturalmente la fantasia politica può andare molto più in là, ma diamo solo qualche titolo giusto per rendere l’idea.
Il tema è se davvero ci si possa aggiustare in questo modo. Se si potesse credere che i veleni sparsi non nell’ultima campagna elettorale, ma ormai in molti anni di crisi politica, siano facilmente neutralizzabili, allora quella soluzione avrebbe come minimo qualche chance di funzionare. Dubitiamo però che sia così. Una serie di affermazioni sono diventate delle convinzioni diffuse nei vari blocchi elettorali. Così è per l’idea che Berlusconi sia da evitare come la peste, che l’immigrazione clandestina sia un fenomeno fuori controllo, che la politica sia tutta corruzione per cui bisogna agire con la scure, che non ci sia difesa dall’impoverimento avanzante senza impiegare sussidi statali massicci, e per tante altre fattispecie che il lettore non avrà difficoltà a richiamare alla sua mente.
Tutti i partiti sanno che la memoria del paese su questi temi non è molto labile. Basterebbe ricordare il prezzo che ha pagato Renzi quando si è illuso che si potesse contare sul favore popolare per mettere mano ad una riforma della costituzione come se un ventennio di intemerate sulla Carta intoccabile e da difendere ad ogni costo fosse stato un episodio superficiale. Si può ben capire che i Cinque Stelle, la Lega, il PD, i berlusconiani, sappiano benissimo quanto sia pericoloso imbarcarsi in una impresa di governo che possa cozzare contro gli stereotipi e i pregiudizi che ciascuno di loro ha seminato a piene mani.
L’impresa non sarebbe impossibile se si potesse contare su un lungo arco di tenuta del nuovo governo e della sua maggioranza, quale che sia. In tre o quattro anni le valutazioni della gente possono cambiare o, se si vuole essere cinici, i vecchi pregiudizi possono essere cancellati istillandone di nuovi. Ma non è questo l’orizzonte che i partiti hanno davanti. Tutte le soluzioni che si possono immaginare sono di corto respiro, perché dipendono da maggioranze costruite artificialmente: non solo nel caso M5S e Lega (rappresentante o meno del centrodestra), ma anche in quello di una coalizione M5S-PD e persino nel caso di un governo di tregua a larga base parlamentare. Si tratterebbe sempre di maggioranze conflittuali al proprio interno, con componenti sottoposte alla tensione di essere messe sul banco degli accusati per tradimento dei sacri principi proclamati in precedenza, e dunque con la prospettiva di far cadere il governo al primo stormo e di tornare alle urne in tempi brevi.
La conseguenza è che ogni partito prima di sottoscrivere un qualunque accordo di governo si interroga su come arriverà ad affrontare il giudizio degli elettori che si prevede a tempi relativamente vicini. Ecco perché tutti al momento sono inchiodati ad interpretare il ruolo che si sono assegnati per raccogliere il consenso del paese alle passate elezioni.
Rompere questo schema richiede che entri in gioco qualche elemento nuovo ed esterno che possa convincere il paese che tutto sommato la messa da parte delle vecchie maschere è un fatto obbligato e in fondo di buon senso. Curiosamente questo elemento già ci sarebbe e qualcuno si è anche accorto che le classi dirigenti del paese ne sono consapevoli: si tratta della necessità di salvare i risultati raggiunti nel faticoso sforzo di cominciare ad uscire dalla crisi in cui ci eravamo avvitati. Peccato che questo non sia diventato un sentire comune, perché gran parte dei canali che muovono la pubblica opinione continua nel vecchio andazzo di predicare la catastrofe politica alle porte a meno che non ci si consegni a qualche forza capace di fare tabula rasa del passato.
di Paolo Pombeni
di Stefano Zan *
di Maurizio Griffo *