Ultimo Aggiornamento:
17 aprile 2024
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La libertà presa sul serio. Una difesa del liberalismo classico

Carlo Marsonet * - 23.09.2020
Lottieri - Every New Right Is A Freedom Lost

Col passare del tempo, le idee possono mutare – non necessariamente per il meglio – e così le parole possono assumere significati ben diversi, talvolta quasi antitetici, rispetto alle origini. Questo è il caso emblematico del liberalismo. Ce lo ricorda in un agile ma intenso volumetto un filosofo del diritto, Carlo Lottieri: “Every New Right Is A Freedom Lost. A Classical Liberal Defense Against the Triumph of False Rights” (Monolateral 2016).

L’Occidente liberale ha conosciuto dei veri e propri punti di svolta circa la concezione della persona, e così del potere e del diritto. Dalla “Magna Charta Libertatum” per arrivare al “Bill of Rights” americano, una forte enfasi posta sull’individuo e il rispetto che merita in quanto tale e la sua inviolabilità sono emerse. Si afferma, in sostanza, l’idea radicale, se si vuole, che gli individui sono nati liberi, possono ricercare la propria via per addivenire alla felicità e così alla vita buona secondo inclinazioni singolari. L’individuo, insomma, non può essere aggredito dal prossimo, il quale non può dunque disporre degli altri come se fossero e dei sottoposti e degli inferiori. Certo, si potrebbe obiettare che l’individuo non è un primo venuto al mondo, né tantomeno può vivere da asociale: ma, infatti, una teoria autenticamente liberale, basti pensare ad Adam Smith, non postula nulla di tutto ciò.

L’individuo non può che vivere in società e l’individualismo bene inteso porta alla progressiva intensificazione dei legami sociali, come notava Mises (sebbene, come pure metteva in guardia Tocqueville, il rischio che l’individualismo degeneri in atomismo esiste, eccome). Epperò, con il diffondersi dell’idea socialisteggiante che ogni diseguaglianza sia di per sé tanto un male da correggere ed estirpare quanto una colpa per cui qualcuno deve pagare, si afferma una concezione democratica, redistributiva e “liberal” che attenta alla visione originaria del liberalismo.

Attraverso la propagazione di queste nuove idee – basti pensare all’immane portata della teoria rawlsiana della giustizia – concetti come libertà, proprietà e diritto vengono sommamente inariditi e deprivati della propria carica in difesa degli individui. Se ogni diseguaglianza deve essere a vantaggio dei più svantaggiati, quali argini possono essere posti alla redistribuzione e, dunque, alla coercizione del potere politico? Se si prende per buona l’astratta teoria di una presunta situazione originaria caratterizzata dal “velo d’ignoranza” in virtù della quale ciascuno, ignorante circa la realtà concreta, sceglierebbe il sistema più attento alla giustizia sociale, che ne è della proprietà privata e del diritto? Evidentemente, le resistenze contro l’accrescimento del potere discrezionale ed arbitrario del Leviatano si annullano.

Il declino della primazia della proprietà comporta un imbarbarimento complessivo della dimensione sociale: se essa non è davvero tutelata, come posso disporre di me stesso, di quello che ho, della mia vita da individuo effettivamente libero e desideroso di ricercare la felicità? Se le basi morali che la società democratica si dà s’identificano con la lotta alle diseguaglianze e la spasmodica bramosia di sempre maggiori diritti sociali, che ne è dei diritti autentici – si pensi alla triade lockiana – e dell’Occidente medesimo?

Risulta evidente che, se da un lato, i richiedenti di sempre maggior redistribuzione e diritti sociali possono forse guadagnarci qualcosa (Bastiat ammonirebbe dal non considerare ciò che non può essere immediatamente visto nella transazione), d’altro canto c’è un vincitore ancora più grande: lo stato. Esso, ovvero chi detiene il potere politico, è ben felice di andare incontro ai cittadini: in cambio riceve, in buona sostanza, individui succubi e dipendenti dalle sue elargizioni. E c’è pure un altro problema. Con l’affermarsi di uno stato che tende a fare un po’ tutto, che ne è della dimensione autenticamente comunitaria e cooperativa della società? Cosa rimane di tutti quei rapporti pre-politici che danno vita a quell’infrastruttura morale che è lo scheletro di una società libera? Istituzioni come la famiglia, associazioni volontarie, financo gli amici e il vicinato, risentono di questo immenso iato che si viene a determinare: da una parte c’è l’individuo, dall’altro lo stato. Tutti siamo in lotta contro tutti per ottenere maggiori benefici (Bruno Leoni parlerà di “guerra legale di tutti contro tutti” dovuta alla legislazione sempre più capillare).

Lo statalismo guasta i rapporti sociali e autenticamente comunitari, acuisce odi e invidie, tradisce le origini liberali dell’Occidente. L’idea che i diritti si possano moltiplicare a dismisura essicca la portata radicale dei diritti più autentici e rende gli individui non solo meno liberi, ma anche meno responsabili. Se non vi è più una linea di demarcazione netta tra ciò che è mio e ciò che non è mio, non posso più disporre di nulla con certezza. Ciò significa che sono in balia dei capricci e della bramosia di chiunque. È questa civiltà o una disastrosa barbarie abbellita da buoni propositi morali egualitari?

 

 

 

 

* Dottorando in Scienze politiche presso la Luiss Guido Carli di Roma.