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12 febbraio 2025
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L’incontro socialisti-cattolici: un’occasione mancata?

Lucrezia Ranieri * - 30.01.2019
Democristiani, cattolici e Chiesa negli anni di Craxi

Non raramente la storia italiana del post ’45 è stata raccontata come una storia di “occasioni mancate”. Il libro recentemente edito da Marsilio, Democristiani, cattolici e Chiesa negli anni di Craxi e curato da Gennaro Acquaviva, Michele Marchi, Paolo Pombeni affronta per l’appunto una di queste “occasioni mancate”: quella dell’incontro tra socialisti e cattolici negli anni Ottanta, avvenuto forse sul piano della strategia politica – o forse è più giusto dire della necessità politica – ma non su quello delle culture, delle prospettive di modernizzazione, delle ipotesi di riforma del sistema. Ma perché l’incontro tra socialisti e cattolici avrebbe dovuto, in primo luogo, essere considerato un’occasione? Un primo punto di riflessione viene messo in luce da M. Marchi nell’introduzione, ed attiene allo stridente rapporto tra l’immobilismo interno alla politica italiana e il movimento impresso alla società tanto dagli avvenimenti internazionali, a partire dalla fine di Bretton Woods e dalle crisi petrolifere eventi che avrebbero sensibilmente ridisegnato l’economia occidentale, quanto dall’epoca post-conciliare. Dopo il fallimento della solidarietà nazionale, la questione, divenuta cruciale, della riforma del sistema politico ricadde nuovamente nelle mani di socialisti e cattolici, chiamati a traghettare il paese fuori dalla paludosa, e progressivamente sempre più anacronistica, logica del consociativismo e del bipartitismo imperfetto – o, in altre parole, dalla logica della Guerra Fredda. In secondo luogo, così G. Acquaviva nel suo saggio, tale incontro avrebbe potuto aiutare a salvaguardare un’importante tradizione della cultura politica italiana, ovvero quella del cattolicesimo sociale, destinato invece ad essere ben presto soppiantato dalle istanze del cattolicesimo “democratico”, più incline a vedere nel marxismo quell’”eresia cattolica” teorizzata da Maritain che lo rendeva automaticamente più affine agli ambienti cattolici di quanto non fosse la tradizione laicista di stampo socialista. Perché ciò avvenisse era però necessario che il mondo cattolico, DC compresa, accreditasse positivamente l’esperienza di governo di Craxi con l’obiettivo di sostenerne la scalata alla leadership della sinistra e di rifondare il sistema politico stabilizzandolo sull’asse “progressisti” e “conservatori”, invece che sulla tradizionale conventio ad excludendum. Secondo Acquaviva - che, ricordiamo, oltre ad essere uno dei curatori del volume è anche uno dei protagonisti delle vicende in esame - ciò non avvenne essenzialmente per l’indisponibilità del mondo cattolico a “dialogare o promuovere la posizione socialista”, sostenendo e favorendo, al contrario, la sua subordinazione innanzitutto elettorale. È un’ipotesi che regge al vaglio dell’indagine storica?

Il quadro che emerge dai corposi saggi del volume è certamente complesso, ed esclude risposte eccessivamente tranchant.  Colpisce innanzitutto l’ampiezza della strategia di Craxi, deciso a confrontarsi con il mondo cattolico su tre fronti: quello della Chiesa, che sperava di poter assicurare come alleata, specialmente dopo il successo del nuovo Concordato; quello della DC, che il leader socialista mirava a ridimensionare, nell’ottica di costituire il PSI come sua alternativa; e infine quello del cattolicesimo sociale, di cui era però necessario recidere i “legami con l’utopia comunista”. Si registra però il fallimento complessivo di questa strategia, e il suo: i saggi successivi, aiutano a capire perché.

In primo luogo non vennero pienamente compresi, da parte socialista, i sommovimenti interni ad un mondo cattolico immerso in una fase di profondo ripensamento; il papato di Giovanni Paolo II, specialmente nel dopo Loreto, riaffermò infatti la necessità di una “cultura della presenza” che non poteva prescindere dall’unità politica dei cattolici.

Uno spazio ristretto che, in secondo luogo, trovò scarsi punti di intersezione con il mondo cattolico nel suo complesso, a partire dalla Democrazia Cristiana. Non bastò la “pattuglia” socialista di ex-aclisti a colmare uno scarto culturale che era innanzitutto “pre-politico” e che non si limitava a sussistere, ma generava invece incomprensioni e diffidenze: come illustrato da G. M. Ceci, quella di Craxi verso il partito democristiano era una vera e propria “antipatia”, accompagnata da una valutazione del tutto negativa della cultura della mediazione recepita come essenzialmente anti-moderna. D’altra parte, il craxismo, declinato nei suoi aspetti personalistici, plebiscitari e autoritari, scontava il giudizio ostile non solo di De Mita e della sua DC, ma anche dei vari ambienti cattolici di sinistra, persuasi, seppure con tempistiche e modalità differenti ben enucleate nel saggio di Paolo Zanini, dell’inaffidabilità di Craxi e, più in generale, della sua stessa esistenza politica come espressione patologica della crisi di sistema.

Il terzo punto di riflessione riguarda invece la natura della sfida politica lanciata dal segretario socialista tanto all’indirizzo della DC quanto al sistema politico nel suo complesso. Il duplice obiettivo di competere al centro con il partito democristiano e al tempo stesso di ribadire la centralità socialista nei termini di un mutamento dei rapporti di forza tradizionali (G. M. Ceci) non poteva che sottintendere la fine del bipartitismo imperfetto e dunque del consociativismo. Questa sfida si concretizzava peraltro nell’idea della “Grande Riforma” che, sebbene inizialmente poco definita, assunse nel tempo i caratteri di un deciso allontanamento dalla logica parlamentarista.

Non vi era però piena contezza, negli anni ’80, di quanto il sistema si stesse avviando verso la sua fine, non solo per dinamiche esterne che in parte esulavano da queste riflessioni, ma anche per la crescente tensione innescata da una tendenziale auto-delegittimazione del sistema politico che, però, non incontrava una reale prospettiva di riforma, non ultimo per la rivalità immobilizzante tra i due maggiori attori del Pentapartito. La convinzione, ribadita in più di un’occasione da De Mita, che il sistema politico fosse ancora intrinsecamente bipolare, e che dunque l’idea dell’alternativa socialista non avrebbe avuto ragione di esistere, sarebbe rimasta valida per pochi anni ancora, mentre l’atteso rinnovamento, richiesto nell’ultimo congresso DC del 1989 (P. Acanfora), si sarebbe infine imposto in tempi e in modi ben lontani dalle aspettative e dalle speranze dei protagonisti di questo libro, attraverso un trauma collettivo che proprio il dialogo tra socialisti e cattolici avrebbe forse potuto contribuire ad evitare.

 

 

 

 

* Dottoranda in Storia Contemporanea all’Università di Viterbo