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L’incognita delle regionali

Paolo Pombeni - 14.12.2022
Sondaggi regionali Lombardia

La politica, a parte qualche fuoco di artificio giusto per non perdere l’allenamento, è piuttosto piatta. Parliamo di quella nazionale e parlamentare e si capisce facilmente il perché: soldi per imporre qualche iniziativa dirompente non ce ne sono, la situazione europea non consente alzate d’ingegno, tutti sanno che il rischio di finire nell’esercizio provvisorio è grave e nessuno vuole intestarsi una responsabilità del genere.

Un’altra storia è quella sul fronte dei partiti che sono davanti alla prova delle elezioni regionali in Lombardia e Lazio (ce ne saranno anche altre: Molise, Friuli, Trentino-Alto Adige, ma quelle vengono più in là e sono considerate meno importanti - sbagliando). È chiaro che quelle sono due regioni simbolo e che più o meno tutti i principali partiti cercano nelle urne lombarde e laziali la conferma di qualcosa. Proviamo a fare un po’ di analisi.

La Lombardia è una regione chiave, oltre che per il Paese, per il centro destra: tanto la Lega, quanto Forza Italia avevano lì un insediamento storico identitario. Entrambe sono in difficoltà di consensi. Salvini deve misurarsi con le inquietudini di frange che vorrebbero tornare al vecchio partito di Bossi, ma non è chiaro quanto seguito possano avere. Il suo vero tallone d’Achille di Salvini è il candidato alla riconferma, Attilio Fontana: un politico non solo poco brillante, ma su cui grava una pessima gestione della prima fase della pandemia, quando dando spazio al suo assessore Gallera finì per rendersi piuttosto ridicolo (e sarebbe una mazzata se la magistratura di Bergamo gli imputasse delle responsabilità). Nel complesso a fronte della sfida del Covid la Lombardia ha mostrato molte debolezze, tanto che ha dovuto sbarazzarsi di Gallera per richiamare in servizio Letizia Moratti, la quale oggi punta a fare un suo terzo polo.

Le rilevazioni di sondaggi non sono negative per Fontana, ma solo perché le opposizioni sono divise e dunque non fanno massa critica. Se Fontana vincesse solo grazie a questo fattore, non sarebbe un bel risultato per Salvini, su cui incombe l’ombra di FdI che alle politiche ha già preso più voti della Lega ed è accreditata di crescere ancora.

Ovviamente tutto ciò è un bel problema per il milanesissimo Berlusconi, che fra il resto ha imposto al vertice di FI altri due lombardi (Cattaneo e Ronzulli). Se non ferma l’erosione dei suoi consensi perderà ulteriormente peso nel governo nazionale: a tutto vantaggio di Meloni. Ma anche in questo caso non è che abbia grandi frecce al suo arco.

Le opposizioni hanno fatto scelte che al momento appaiono suicide. Il PD nel terrore di essere comunque sconfitto non ha accettato una alleanza con la Moratti, convinto che perdere per perdere era meglio farlo con una bella bandiera “di sinistra” come quella del candidato Majorino. Il Terzo Polo di Calenda e Renzi, che in questa fase non è interessato a vincere, ma solo a confermarsi come uno “snodo” della vita politica, ha puntato sulla candidatura Moratti: un gioco d’azzardo che però dal suo punto di vista finirà comunque in positivo. Se succedesse il miracolo della vittoria della ex sindaca di Milano ed ex vice presidente della Giunta di centrodestra, che ha abbandonato denunciandone le derive, Calenda e Renzi si vedrebbero confermati nella loro posizione chiave come momento che supera i vecchi partiti. Anche se Moratti non vincesse, ma raccogliesse come è possibile una buona quota di consensi, si confermerebbe lo stesso l’esistenza di un “centro” potenzialmente determinante in futuro: il che significherebbe erodere consensi tanto a FI quanto al PD.

Chi è fuori dai giochi in Lombardia sono i Cinque Stelle, i quali invece puntano sul Lazio dove sono convinti di avere un buon insediamento. La regione di Roma è ovviamente centrale, ma qui più che mai le coalizioni sono spappolate. Fratelli d’Italia che da quelle parti ha una tradizione anche piuttosto forte, non sembra in grado di mettere in campo un candidato all’altezza dell’immagine che la Meloni vuol dare del suo “nuovo” partito. La Lega e Forza Italia non sanno che pesci pigliare. La sinistra, che ha guidato la regione con il cosiddetto “campo largo” di Zingaretti è a sua volta spaccata. I Cinque Stelle sembrano puntare alla corsa solitaria con una loro candidata che non pare avere alcuna chance di vittoria. Il PD in questo caso è riuscito a fare un’alleanza con Calenda sul nome dell’assessore D’Amato, figura credibile, ma si tratta di un partito che è spaccato in decine di rivoli e rivoletti, avvelenato da lotte intestine che sono massimizzate del trovarsi vicino al grande centro dei media (Giornali e TV sono molto “romani”) sfruttati per acuire le lotte di fazione.

Aggiungiamoci che in entrambe le regioni il partito guidato (si fa per dire) da Letta affronterà le competizioni elettorali gravato del peso delle lotte per la segreteria. Con una scelta che francamente ci è sembrata assurda le elezioni allargate nei gazebo si faranno la settimana dopo la chiusura delle urne regionali. Vuol dire che non solo tutta la campagna elettorale del PD sarà condizionata dall’attenzione verso le competizioni per la segreteria (che domineranno la comunicazione), ma anche il voto del 19 febbraio fra i due candidati più votati dai circoli soggiacerà a quanto emerge dalle urne di una settimana prima (col rischio che una delusione per un partito che uscisse male da quella competizione, cosa da non escludere, potrebbe incentivare la scarsa partecipazione lasciando tutto in mano alle tifoserie dei due candidati: non proprio neutre ed animate solo dall’idea di scegliere il migliore).