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17 aprile 2024
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La fine del "traino dei sindaci"

Luca Tentoni - 09.10.2021
Virginia Raggi

Sull'esito del primo turno delle elezioni amministrative è stato scritto molto, soprattutto per quanto riguarda le liste e le coalizioni. È passato invece un po' sotto silenzio il rendimento reale dei candidati sindaci. Il destra-centro ha scaricato l'insuccesso nelle metropoli sugli aspiranti primi cittadini (dopo averli scelti) ma forse bisognerebbe guardare oltre, anche al centrosinistra. Ad una coalizione che - in due casi col M5s - ha saputo mettere insieme un milione e 56mila voti (compresi quelli ai candidati sindaci) nelle sei metropoli andate alle urne, col 43,3% delle liste, si può dire poco, soprattutto se si considera che il destracentro si è fermato al 31,5% e 772mila voti (fra liste e consensi ai candidati sindaci). Eppure, qualcosa non torna. Se i due maggiori schieramenti hanno raccolto nelle sei "capitali regionali" (Roma, Milano, Torino, Napoli, Bologna e Trieste) il 74,8% dei voti di lista, spazzando via i "terzi incomodi", è però vero che i voti ai soli candidati sindaci dei due poli ammontano solo al 55,3%, cioè 103,9 mila sui 187,6 totali. La facoltà di esprimere un voto solo per il candidato sindaco è ormai utilizzata da pochi (75 votanti su mille), però si tratta di espressioni di consenso alla persona che hanno un valore politico. A Roma, per esempio, è successo di tutto: su 94.959 voti ai sindaci e non alle liste, ben 32mila sono andati alla Raggi (M5s), 26mila a Calenda (Azione), 16,7mila a Gualtieri (Pd) e 16mila a Michetti (destracentro); nella competizione di lista, invece, il centrosinistra ha avuto il 27,9%, il destracentro il 31,4%, Calenda il 19,1% e la piccola coalizione Raggi il 17,7%. Questo vuol dire che i partiti hanno prodotto il risultato che porta al ballottaggio Michetti e Gualtieri, mentre se avessero votato solo i cittadini che non hanno scelto le liste sarebbero andati al secondo turno Raggi e Calenda, che insieme hanno avuto il 62,8% dei suffragi ai soli candidati sindaci. In poche parole, nel confronto fra percentuali di liste e percentuali di voti ai soli sindaci, il centrosinistra perde a Roma il 10,4%, il destracentro addirittura il 14,5%. Gli unici due aspiranti primi cittadini di centrosinistra che ottengono un notevole consenso personale sono Sala a Milano (68,9% contro il 57% di lista) e Russo a Trieste (41,3% contro il 29,2%). Benino Lo Russo a Torino (42,1% contro 44%) ma meno bene Lepore a Bologna (36,9% contro 63%, sia pure in un contesto nel quale le schede con l'indicazione del solo sindaco sono state pochissime: appena seimila) e molto meno bene Manfredi a Napoli (13,4% contro 65,9%). Nel capoluogo partenopeo si è assistito alla vittoria di un candidato autorevole ma appoggiato da una coalizione praticamente imbattibile, tanto che si è avuto un forte voto disgiunto, a sinistra, verso Bassolino. Se fossero stati validi i soli voti ai sindaci (senza indicazione di lista) l'ex sindaco ed ex presidente della regione avrebbe avuto il 35,1% andando al ballottaggio con Maresca (destracentro, 38,3%). Ciò sarebbe avvenuto perché questi ultimi due candidati hanno ottenuto percentuali migliori rispetto alle liste, mentre Manfredi è stato trainato dai partiti della coalizione. Nel complesso delle sei città capoluogo di regione, i candidati di centrosinistra (tre dei quali eletti al primo turno) hanno ottenuto meno voti delle liste di coalizione in quattro casi (Roma, Napoli, Torino, Bologna) contro due (Milano e Trieste); anche quelli di destracentro sono "andati sotto" in quattro casi (Roma, Milano, Torino, Trieste) contro due (Napoli, Bologna); i tre outsider, invece, hanno fatto benissimo: Bassolino (35,1% dei voti personali, 6,6% di lista), Calenda (27,8% e 19,1%) e Raggi (34% e 17,7%). Nel caso della Raggi, si tratta del canto del cigno: al primo turno, nel 2016, ebbe 40,7mila voti "personali" da aggiungere a quelli di lista, mentre stavolta si è fermata a 32mila. Abbastanza, tuttavia, per dire che nonostante la gestione fallimentare della Capitale c'è ancora un gruppo di supporter della sindaca uscente, che difficilmente si riverserà su uno dei due candidati del ballottaggio per il Campidoglio. Nato per permettere ai cittadini di fare a meno dei partiti puntando sulle persone, il meccanismo del voto disgiunto e soprattutto del voto al solo sindaco si è andato via via svuotando d'importanza. Nel 1993, a Roma, Rutelli ebbe 205mila voti personali e 479mila di lista, mentre Fini ne ebbe 189mila personali e 430mila di lista; oggi Gualtieri ne ha 16,7mila personali e 283mila di lista, mentre Michetti ne ha 16mila personali e 318mila di lista. Un abisso. In pratica, Rutelli riceveva sul suo solo nome il 30% dei consensi di liste e personali, Fini il 30,5%, Gualtieri il 5,6% e Michetti il 4,8%. Gli stessi Raggi e Calenda, che a Roma hanno avuto molti voti non di lista, hanno ottenuto percentuali di "consensi personali" pari rispettivamente al 15% e al 12%. L'era dell'"Italia dei sindaci" è finita, così come quella nella quale erano i primi cittadini a guidare con la loro personalità il cambiamento. Solo Bassolino ha ancora il 24,5% dei voti non di lista sul totale di quelli ottenuti: non a caso, è stato uno dei protagonisti di quella stagione lontana.