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27 marzo 2024
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La dinamica centro-periferia nelle elezioni politiche della repubblica italiana

Michele Amicucci * - 09.01.2019
Luca Tentoni - Capitali regionali

In Capitali regionali, le elezioni politiche nei capoluoghi di regione 1946-2018, Luca Tentoni offre un’interessante disamina delle vicende elettorali italiane a partire dal referendum istituzionale che ha inaugurato la nostra storia repubblicana sino alle recenti politiche del marzo 2018, eleggendo i capoluoghi di regione quali unità d’analisi. Le capitali regionali, i 19 capoluoghi di regione più Bolzano e Trento, sono il punto di osservazione primo delle 19 elezioni politiche occorse dal 1946 ad oggi.

In quello che si rappresenta come un prezioso contributo agli studi di geografia elettorale urbana – oltre che essere un’interessante rilettura della storia politica dell’Italia repubblicana, osservata attraverso l’angolatura del rapporto “centro-periferia” – le cosiddette “piccole capitali” si pongono come attore collettivo nell’arena politica del nostro paese. I capoluoghi di regione, con il proprio retroterra culturale, economico, sociale, hanno da sempre vantato una certa natura sui generis da un punto di vista politico-elettorale nei confronti delle rispettive provincie. Per quanto lo sguardo di Tentoni resti costantemente legato ad una revisione della dinamica elettorale sull’asse “centro-periferia”, di cui l’indice di disomogeneità geopolitica e quello di difformità ne sono strumenti d’analisi effettivi, la disamina è arricchita dall’evidenza della peculiarità delle “piccole capitali” – leit motiv dell’intero testo – espressa nella frammentazione, nella minor tendenza al bipartitismo rispetto alla provincia, dunque nel numero effettivo di partiti scelti e nel mutamento dei blocchi (passaggi di voto tra i diversi poli).

Non solo ed esclusivamente capoluoghi di regione a confronto con le periferie, ma anche considerazione della divisione, da un punto di vista elettorale, dell’Italia in macroaree: il Triangolo Industriale, con una Milano politicamente eccezionale rispetto al proprio spazio periferico; il Nord-est “bianco-verde”, con una costante disomogeneità di scelta politica tra capoluogo e provincia; le “zone rosse” del Centro Italia, invece più omogenee; Roma ed il Lazio, il Mezzogiorno e le Isole. Ciò testimonia la complessità di un’analisi fatta “nel tempo e nello spazio”, che concepisce al suo interno – sulla base di tendenze partitiche e di “famiglie politiche” consolidate – discontinuità e mutamenti e che si rende esaustiva proprio in virtù della molteplicità di strumenti metodologici impiegati, oltre che grazie ad incursioni specifiche nella storia del nostro paese.

 

Nel corso della Prima Repubblica un tratto distintivo individuato dal Tentoni è il ruolo giocato dalle subculture “bianca” e “rossa” nel puntellamento di un “elettorato di appartenenza”. Va altresì specificato che ciò non ha determinato, nello spazio metropolitano, un’identificazione diretta tra elettore e partito. L’intero sistema si stabilizza infatti con un dato rilevante: la Dc, per tutta la sua parabola politica, si è caratterizzata maggiormente come partito “periferico” piuttosto che “metropolitano” con un mutevole rapporto tra i voti delle “piccole capitali” e quelli dei centri minori. Al contrario, la sinistra italiana ha vissuto con maggiore stabilità tale rapporto, catturando il proprio elettorato in maniera consistente nelle grandi città Centro-settentrionali, connotato che peraltro sarebbe stata in grado di confermare anche nella Seconda Repubblica.

Più in generale, la conclamata precarietà della Dc nelle metropoli, dunque la volatilità del suo elettorato, caratteristica dell’intero arco 1946-92, determinerà nell’analisi di Tentoni un significativo indice di mutamento complessivo nel contesto delle grandi città. Nelle capitali regionali la Dc è stata soggetta al periodico travaso di voti verso la destra monarchico-missina, ma anche verso i liberali, nel Mezzogiorno, infine, verso la causa leghista al Nord. La sinistra invece è strutturalmente più forte nei capoluoghi, in particolare nel Triangolo Industriale e nel “Centro rosso”, la cui peculiare subcultura riesce ad omogeneizzare centro e periferia, diversamente dal Nord-ovest e dal Triveneto “bianco”. L’evidenza di tale differenza sub culturale, tra le macroaree “bianca”-“rossa”, viene colta nel corso della ricerca proprio negli ultimi anni della Prima Repubblica, quando la crisi di rappresentanza delle “regioni bianche” avrebbe avallato naturalmente la Lega. Ad ogni modo, dopo che anche al Sud la sinistra raggiungeva risultati considerevoli (spicca il 48 % del 1976), si sarebbero poste le condizioni per il “sorpasso” dei socialisti ai danni del Pci-Pds. La destra dal suo canto, come emerge dall’indagine di Tentoni, lega la sua affermazione alle “piccole capitali” del Sud e delle Isole, mentre Roma si pone appendice del blocco monarchico-missino. In tal senso, rilevante è la linea di frattura che ha divaricato la natura elettorale della penisola, a partire dalla guerra e dalla scelta repubblica-monarchia del 1946. L’esperienza della Prima Repubblica si chiude col successo della causa leghista a Nord, che non equivale, almeno per quel frangente storico, ad un successo propriamente di “destra”.

L’approdo alla Seconda Repubblica si rappresenta come una destrutturazione in due tempi, che investe dapprima il Nord e solo in un secondo momento riguarda il Mezzogiorno. Nonostante la ridefinizione pressoché totale dello spettro partitico, il sistema delle forze politiche nato nel 1992-94 preservava comunque alcune eredità della Prima Repubblica. Colpisce la persistenza di una differenza di voto notevole tra capoluoghi di regione e provincie, soprattutto per quel che concerne Lombardia, Friuli-Venezia Giulia, Piemonte, Veneto e Lazio. Il centro-sinistra, così come nella Prima Repubblica, si rivela sovra-rappresentato nello spazio metropolitano, nonostante le subculture abbiano patito un’innegabile erosione, come testimoniato dalla sensibile diminuzione dell’indice di bipartitismo. Anche nell’esperienza elettorale post 1992 le capitali regionali si pongono come un “mercato aperto”, con indici di frammentazione, dunque numero effettivo di partiti scelti, notevoli.

Ad esser indubbiamente mutata è tuttavia la contesa politica, non più tra partiti bensì tra coalizioni. Questa, dopo una fase di “assestamento” della Seconda Repubblica, sembrava aver consolidato una sorta di bipartitismo, definito “variabile”, non più espresso dal duopolio Dc-Pci, bensì caratterizzato dalla presenza di diverse componenti politiche (di cui in primis Fi-Ds; poi Pdl-Pd) pronte ad alternarsi. Il riflesso tangibile al livello elettorale di tale situazione politica è stato il graduale e temporaneo avvicinamento tra spazio metropolitano e periferia nelle scelte di voto. Un’omogeneizzazione-nazionalizzazione limitata e poi smentita dalla situazione politica apertasi nel 2011, avente in sé i germi di una nuova transizione. La crisi economica e politica di rappresentatività e le distanze siderali tra establishment politico ed elettorato hanno divaricato nuovamente le sorti elettorali delle “piccole capitali” da quelle della provincia. Oltre a tale divergenza, le ultime elezioni – evidentemente emblema di ripercussioni di una situazione più ampia – hanno fatto riemergere lo storico cleavage del 1946.

Come considerato nel bilancio del suo lavoro infatti, Tentoni mette in risalto le differenze rilevanti, nonché la loro continuità, tra l’“Italia repubblicana” e l’“Italia monarchica”. La sinistra è maggioritaria al Centro ed al Nord per tutta la parabola primo-repubblicana mentre centristi e destra dominano da Roma in giù, passando dal 68% della prima legislatura repubblicana al 54% degli anni Settanta. Sebbene la Seconda Repubblica nasca apparentemente depurata da questa cicatrice politico-elettorale, negli anni 2000 tale divergenza riappare, per manifestarsi nuovamente con nettezza proprio nel marzo 2018. Nei capoluoghi Centro-settentrionali il centro-sinistra è maggioritario, nonostante preservi una cronica incapacità di catturare l’elettorato provinciale – un’incapacità grazie alla quale la Lega diviene maggioritaria nel centro-destra – mentre al Sud un partito certamente non “sudista” ha catturato la maggioranza dell’elettorato. Quella di Tentoni si rivela una ricerca esaustiva anche per quel che riguarda la più stretta attualità politica, che attraverso la lente della geografia elettorale urbana mostra l’esistenza di linee di frattura “vecchie, nuove e riadattate”.

 

 

 

 

*Laureato in Scienze Storiche e orientalistiche (LM) – Università di Bologna