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La comunicazione di Monsieur Valls

Riccardo Brizzi - 24.04.2014
Manuel Valls

Correva il lontano 6 aprile 1982 quando Manuel Valls registrò la sua «prima» televisiva. Appena diciannovenne intervenne nella trasmissione «Tribune libre» su France3, come rappresentante dei giovani socialisti, bacchettando con disinvoltura la strategia di nazionalizzazioni promossa dal capo dello Stato, François Mitterrand. Un talento naturale che Valls ha fatto fruttare nel tempo, affinando l'esercizio prima come portavoce di Lionel Jospin durante il governo della «sinistra plurale» (1997-2002), poi come responsabile della comunicazione di François Hollande durante la campagna presidenziale del 2012, e infine servendosi dell'incarico di ministro degli Interni per farne (come, a suo tempo, Sarkozy) il fulcro di un incessante presenzialismo mediatico (che gli ha permesso di raddoppiare la propria popolarità, passata in pochi mesi dal 30% al 60%, diventando la personalità politica più apprezzata dai francesi). Valls appare in realtà come l'ultimo prodotto di una nuova generazione di leader consapevoli di come nelle democrazie contemporanee l'azione politica debba essere condotta in perfetta integrazione con le esigenze e i vincoli di società iper-mediatizzate. Nella fattispecie, a meno di un mese dalla nomina a Primo ministro, emergono almeno quattro tratti distintivi della sua strategia di comunicazione.

Il primo è un volontarismo esasperato. Fedele al napoleonico «l'impossibile non è francese», Valls  possiede e ostenta i principali attributi del potere: carisma, attivismo, fermezza e coerenza. Il suo stesso percorso testimonia l'appetito feroce del personaggio: immigrato spagnolo, naturalizzato francese all'età di vent'anni, è l'emblema della meritocrazia repubblicana e non l'ultimo prodotto dell'Ena, la tradizionale fucina degli alti papaveri dell'amministrazione nazionale. Uno dei rischi dell'incarico era quello di apparire il vassallo del capo dello Stato, come era accaduto al suo predecessore. Sin dall'investitura ha invece giocato di contropiede. Ayrault era considerato troppo discreto e ubbidiente? Valls ha deciso di essere molto più visibile e dinamico, al punto che alcuni commentatori hanno teorizzato una «semi-coabitazione» con l'Eliseo.

E qui interviene un secondo aspetto: il monopolio dell'agenda politica e l'occupazione dello spazio mediatico. Grazie ai consigli di Stéphane Fouks, direttore di Havas Worldwide e guru del settore (ha già assistito Lionel Jospin e Dominique Strauss-Kahn in Francia, Aleksander Kwasniewski in Polonia e Ehud Barak in Israele), Valls intende proseguire lungo la strada percorsa durante i due anni al ministero degli Interni: correre là dove sono le telecamere. Le due apparizioni in diretta al tg delle 20h nelle prime due settimane di mandato (Ayrault aveva atteso due mesi prima di rivolgersi ai francesi da questa tribuna) confermano l'intenzione di imporre un ritmo sostenuto ai media, senza preoccuparsi troppo di rubare la scena al capo dello Stato, a cui non è concesso svalutare la propria solenne parola nei problemi quotidiani di governo.  

Altro fattore determinante è il protagonismo rispetto alla compagine governativa. All'indomani dell'investitura Valls non si è preoccupato di trasformare riti consolidati. All'uscita del consiglio dei ministri, contrariamente alle abitudini, non è il portavoce del governo ma lui stesso, circondato da ministri confinati al ruolo di figuranti, a rivolgersi alla stampa per fornire precisazioni sulle misure approvate o sui progetti in cantiere. Il messaggio è chiaro: nonostante la sua squadra conti personalità ingombranti (Ségolène Royal, Arnaud Montebourg, François Rebsamen, etc.), non saranno tollerati i personalismi che hanno indebolito il governo Ayrault. Esiste un capo alla guida del governo, ed è a lui che spettano gli annunci importanti.

L'ultimo elemento di questa strategia è la capacità di rompere le linee e le caratterizzazioni ideologiche tradizionali. E' la cosiddetta «triangolazione», che consiste nel prendere a prestito idee e bandiere dell'avversario per disorientarlo, lanciando un amo verso il suo elettorato. Lo aveva fatto Sarkozy nel 2007, invocando Jaurès e Blum e dando vita alla cosiddetta «apertura a sinistra», se ne è servita Marine Le Pen per promuovere la progressiva «normalizzazione» del FN, lo fa oggi Valls, convinto che per restituire credibilità a un PS disorientato occorra investire senza complessi sui temi della sicurezza e dell'immigrazione.

Il nuovo Primo ministro ha capito l'importanza del ritmo, dell'eterno movimento, del farsi trovare laddove non si è attesi. I tradizionali riferimenti ideologici della sinistra francese sono momentaneamente messi all'angolo, al punto di proporre l'abbandono della parola «socialista» dal nome del partito. Malpancisti e nostalgici, per il momento, devono accontentarsi del fatto che nel nuovo ufficio di palazzo Matignon, Manuel Valls ha fatto trasferire il mobilio dello storico governo di Fronte popolare e lavora alla scrivania che era appartenuta a Léon Blum.