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La Colombia alle urne

Francesco Davide Ragno * - 28.05.2014
Óscar I. Zuluaga

Le elezioni della scorsa domenica, in Colombia, hanno emesso un verdetto: vincitori e vinti. Nonostante sia necessario un turno di ballottaggio per definire il nome del prossimo Presidente della Repubblica, i risultati elettorali hanno già fotografato una realtà politica molto più complessa di quanto i numeri e le percentuali possano riflettere. Attenendoci a questi, il candidato Óscar I. Zuluaga (del Centro Democratico, movimento legato all’ex presidente Álvaro Uribe) ha ottenuto il 29,26% dei voti, mentre Juan M. Santos (Presidente in carica) si è fermato al 25,68%.  Questi candidati, che si sono guadagnati l’accesso al secondo turno, sono incalzati dall’esponente del partito conservatore, Marta L. Ramirez, e da Clara López, candidata della sinistra, che hanno raccolto  rispettivamente poco più del 15%. Staccato di molto il candidato verde, Enrique Peñalosa, che ha ricevuto l’8,28% dei consensi.

Poco meno del 60% degli aventi diritto al voto, però, è rimasto a casa. Il dato dell’astensione conferma lo scarso interesse che hanno suscitato i dibattiti elettorali televisivi che, difatti, hanno raccolto livelli minimi di share (persino il dibattito, svoltosi a tre giorni dalle elezioni, è stato superato da un reality show). A ben vedere, però, non c’è da rimanere sorpresi visto che, in più di un’occasione, i colombiani avevano manifestato con l’astensionismo il proprio scetticismo verso la politica. Cionondimeno, bisogna tornare indietro fino alle elezioni presidenziali del 1994, quando si recò alle urne solo il 33,77% degli aventi diritto, per trovare una partecipazione inferiore a quella delle ultime consultazioni.

 

Sul banco dei vincitori


Nella schiera dei vincitori si trova l’ex Presidente Uribe, tornato alla politica attiva lo scorso marzo, quando si è guadagnato uno scranno nel Senato. Uribe ha patrocinato la campagna elettorale del suo delfino, Zuluaga, il quale non ha perso occasione per richiamarsi al suo mentore sia in tema di politica economica (il costante richiamo alle politiche neoliberali e alla necessità di rendere più flessibile il mercato del lavoro) sia in relazione alla spinosa questione delle Farc. Mentre Santos in questi anni si è speso nella ricerca di una conciliazione politica con il più antico gruppo rivoluzionario dell’America Latina, Uribe, prima, e Zuluaga, poi, hanno rilanciato il pugno duro riproponendo la soluzione militare.

Sul banco dei vincitori, infine, possono sedersi anche le Farc. I rivoluzionari hanno gestito le sorti della campagna elettorale. Ciò è stato possibile perché il Presidente Santos ha basato la propria rielezione proprio sulla cosiddetta “politica di pacificazione”. Diciotto mesi fa, infatti, a L’Avana i rappresentanti del governo colombiano e quelli delle Farc hanno avviato le prime consultazioni allo scopo di porre fine (o almeno porre dei limiti) alla violenza “rivoluzionaria” sul territorio colombiano. Le Farc sono ritornate al centro del dibattito politico condizionandone termini e agenda.

 

Il grande sconfitto


Il grande sconfitto di queste elezioni è, dunque, il Presidente in carica Santos che, in termini reali, ha perso circa 4 milioni di voti rispetto al primo turno delle elezioni presidenziali del 2010. Non va dimenticato che nel 2010 era Uribe il principale sponsor politico di Santos, il quale ha passato tutto il periodo presidenziale tentando di affrancarsi, smarcarsi dalla pesante ombra del suo predecessore. Santos, però, ha commesso l’errore di legare la propria rielezione ai negoziati di pace con le Farc, lasciando nelle mani dei rivoluzionari il proprio destino. La simultaneità dei negoziati con le elezioni, infatti, non ha giovato né agli uni né alle altre e, almeno per ora, Santos sembra aver perso la sua scommessa politica. Una scommessa alquanto azzardata visto che i sondaggi degli ultimi anni hanno mostrato che una buona parte della cittadinanza considerava le Farc non più un movimento rivoluzionario mosso da ideali quanto piuttosto alla stregua di un cartello di cocaina. Una scommessa, questa, apparsa ancor più azzardata perché vi sarebbero stati altri temi capaci di promuovere la candidatura di Santos, primo fra tutti la questione dello sviluppo economico e sociale del Paese, il cui Pil dal 2011 ad oggi è cresciuto in media di un 4,8% annuale. La crescita economica è stata accompagnata, peraltro, da una costante diminuzione della disoccupazione: a molti analisti, dunque, la scelta di incentrare tutta la campagna elettorale sui negoziati con le Farc è sembrato un vero suicidio politico.

Più di due settimane mancano al ballottaggio, che si svolgerà il 15 giugno, e la grande sfida sarebbe quella di accaparrarsi i voti della Ramírez e della López, anche perché lo zoccolo scettico degli astensionisti sembra duro ed inamovibile. Il vero interrogativo, però, riguarda la campagna elettorale di Santos: riuscirà Presidente uscente a stravolgere i messaggi della propria campagna elettorale, lasciando ai margini i negoziati di pace? Per il momento, tutto lascia intendere di no.

 

 

* Università di Bologna – Representación en la República Argentina