La battaglia di primavera
Mario Draghi sa bene quanto sia delicato il passaggio che sta affrontando: vincere questa che si può definire la battaglia di primavera significa poter sperare di vincere la guerra contro il Covid in tempi non troppo remoti. Due sono i fronti su cui deve combattere. Il primo è sotto gli occhi di tutti ed è la campagna per le vaccinazioni di massa. Il secondo è quello che viene tenuto lontano dai riflettori ed è il completamento del Recovery Plan (più esattamente PNRR) nella speranza di avere da Bruxelles la sua approvazione prima dell’estate.
Sono due aspetti interconnessi perché col successo in entrambi il paese si compatta e, per ripetere una felice frase del premier, ritrova “il gusto del futuro”. È proprio la carenza di questo a tenere in questo momento congelato il paese, stretto fra le ossessive cronache (si fa per dire) dei talk show su quanto ci aspetta sul fronte Covid e le pressioni divergenti delle forze politiche che formano l’attuale coalizione.
Il successo nella campagna vaccinale dipende certo dall’arrivo di un numero sufficiente di dosi, e su questo il governo ci mette la faccia, ma anche dalla capacità di inocularli secondo un piano razionale ed efficace: e qui cominciano i problemi. Non tutte le regioni mostrano le potenzialità necessarie e la capacità dello stato di surrogare a quelle deficienze non si può sanare semplicemente inviando task force di uomini, magari militari. La gestione delle infrastrutture è in mano alle regioni e dove non si collabora o dove quelle fanno acqua da tutte le parti non sarà semplice supplire a livello centrale.
Per evitare inutili sceneggiate Draghi tiene bassi i toni, denuncia poco e chiede invece a tutti collaborazione. Non mancano i casi in cui non la ottiene, perché tutto sommato a qualche “governatore” piace molto il palcoscenico. Non sottovalutiamo che la battaglia politica è in continuo svolgimento, con Salvini che si è assunto il ruolo demagogico di quello che farà riaprire e altri, Speranza in testa, che pensa invece che sia ottimo mostrarsi un rigido cerbero con dietro “gli scienziati”. Ovviamente entrambe le posizioni sono insensate se trasformate in un qualcosa che non tiene conto di una realtà in continua evoluzione. Draghi cerca di smarcarsi affermando un principio di assoluto buon senso: si riaprirà quando e nella misura in cui i dati lo consentiranno. I cerberi dicono che questo si farà solo quando ci sarà una notevole sicurezza che l’epidemia sia completamente sotto controllo, il che suona tanto come un rinvio verso un futuro ignoto.
Il risultato di questa contrapposizione è che da un lato i nostalgici del Conte 2 tuonano in tutti i talk show che Draghi alla fine cede a Salvini e che i cerberi alimentano l’estremismo di quelli che vedono la salvezza solo nell’austerità delle clausure. Tutti elementi che contribuiscono solo a spegnere nel paese il gusto per il futuro.
Naturalmente non basterà una vittoria sul piano della campagna vaccinale che fra il resto, non dimentichiamolo, l’Europa ha previsto per il prossimo luglio, cosa che, in un mondo globalizzato, ci ricadrà addosso (soprattutto se, come sembra, per esempio la Gran Bretagna raggiungerà per allora quel traguardo). Un paese relativamente sollevato dall’incubo della pandemia, però non si riprenderà se una metà o più di esso si vedrà spinta nelle fauci di una crisi economica. Non dimentichiamo che siamo in una situazione di spaccatura che è foriera di duro conflitto sociale, perché una parte del paese, quella con impieghi pubblici o parapubblici o con aziende che hanno retto bene alla crisi, ha continuato a percepire regolarmente i suoi salari, mentre un’altra parte, quella che gravita a vario titolo sui settori che hanno dovuto chiudere, per una quota vede drasticamente ridotto il suo status economico e per un’altra quota precipita verso la povertà.
Per tenere sotto controllo questa situazione non si può puntare semplicemente ai sussidi (chiamateli come vi pare) continuando a fare debito. Bisogna rimettere in moto l’economia e per questo ci vogliono i soldi della UE. E qui cominciano le dolenti note. Speriamo che tutto vada nel migliore dei modi, ma per vedere l’effetto moltiplicatore di quelle risorse ci vorranno mesi. Certo l’effetto annuncio nel momento in cui si potesse dire con certezza che quei soldi arrivano e come saranno impiegati avrà sicuramente un effetto di sollievo.
Tuttavia bisogna tenere conto anche di altre variabili. La prima, che speriamo non si verifichi, è che il meccanismo subisca un rallentamento se non che addirittura si inceppi. La questione sollevata da un antieuropeista davanti alla Corte Costituzionale tedesca è un segnale che non andrebbe sottovalutato e che, anche se pensiamo che non troverà soddisfazione, comunque ritarda il processo europeo. La seconda è che quella marea di denaro non potrà essere impiegata, come temiamo venga creduto da troppi (a cui fanno da risonanza alcuni media), per “ristorare” questo o quello. Di qui si avrà un altro momento di tensione sociale su cui più di un partito è pronto a gettarsi a corpo morto nella speranza di ricavarne un balzo elettorale.
C’è la necessità assoluta che Draghi col suo governo vincano la battaglia di primavera. Non è un favore che facciamo a loro è una necessità vitale per il nostro paese. Per questo però si deve impostare una battaglia di opinione che sostenga e protegga sul fianco quella di primavera in cui è impegnato il governo. Purtroppo non ci sembra di vedere quella grande mobilitazione patriottica (se vogliamo sfruttare una volta di più la metafora bellica che continuamente ci viene proposta) che sarebbe assolutamente necessaria. E questo davvero ci preoccupa.