La battaglia contro la pandemia passa dal rispetto della natura
Il tempo dell’incipit del Covid 19 sembra appartenere alla preistoria, ciò che interessa in questo momento è concentrare risorse ed energie sui piani vaccinali: fase dirimente per vincere questa lunga battaglia anche se risalire alle origini e capire sarebbe utile per evitare che essa diventi l’episodio di una guerra più lunga e indefinita. Per metterla sul banale guardare al presente per ipotecare il futuro senza cogliere la causa che ha scatenato il putiferio è come tappare un lavandino senza chiudere il rubinetto. Non tutti i Paesi del mondo usano la stessa strategia per battere il virus e questo in epoca di globalizzazione dovrebbe indurre ad approfondire i fenomeni demografici previsti entro la metà di questo secolo: non si può blindare una intera popolazione nei confini nazionali rispetto a flussi etnici che diventeranno stanziali. È stato per me interessante approfondire questo argomento con l’illustre demografo e Presidente ISTAT Prof Giancarlo Blangiardo. Ma intanto andiamo avanti a tutto spiano con le somministrazioni: raggiunte le immunità di gregge difendibili solo rendendo difficili gli spostamenti da Paese a Paese vedremo quanto questa trincea potrà reggere. Esattamente il contrario del paradosso che si è materializzato in questi giorni: bloccati in casa in una Italia tutta rossa mentre sono ammessi i voli verso l’estero, pur con le precauzioni dei tamponi e delle quarantene. Alle origini del Coronavirus ci sono sostanzialmente tre ipotesi in campo: la prima è quella del “contadino di Wuhan” che avendo mangiato carne di pipistrello ed essendo stato ammorbato dal virus animale per zoogenesi, avrebbe poi trasmesso la malattia alla moglie e di lì a tutto il pianeta. Il filmato che girava in rete sul mercato degli animali di Wuhan (cani, gatti, topi, pipistrelli, serpenti ecc.) era eloquente ma il Direttore di TGCOM24 Paolo Liguori a cui lo avevo inviato me lo aveva restituito con un laconico “fake cinesi”. La seconda cavalca l’ipotesi complottista di un orchestrato progetto politico di contaminazione del mondo (e dell’Occidente in particolare) con il famoso “virus costruito in laboratorio” come arma letale. Roba da fantascienza ma mica tanto, che ricorda le trame di certi film dove le armi convenzionali e le bombe sono sostituite dalla guerra batteriologica, silente e persino più devastante.
Lo spesso Paolo Liguori non ha mai nascosto di averne parlato per primo. Questa tesi è avvolta in misteri imperscrutabili: dai ritardi nella denuncia al mondo da parte della Cina circa la “fuga” del virus nei famosi “11 giorni di Wuhan”, ai complici silenzi dell’OMS, alle omissioni della Cina stessa rispetto ai protocolli internazionali sugli scambi commerciali e di persone: ne aveva sottoscritto uno anche con noi ad aprile 2019, un mese dopo il Memorandum sulla “via della seta” ma non l’aveva poi rispettato. Senza dimenticare la ricerca dell’Università di Southampton secondo cui se la Cina avesse agito con tre settimane di anticipo rispetto alla data del 23 gennaio, il numero di casi complessivi di Covid-19 si sarebbe potuto ridurre del 95%. Ma anche una sola settimana avrebbe ridotto il contagio globale del 66%”.
E il successivo rapporto del Centro Studi “Henry Jackson Society” intitolato: “Risarcimento da Coronavirus? Stabilire la potenziale colpevolezza della Cina e le vie di una azione legale” paventava la potenziale responsabilità della Cina e la via di una azione giudiziaria. Ma – come ho dedotto da una intervista realizzata con il Prof Lucio Caracciolo Direttore di Limes – l’Italia non percorrerà mai la via del risarcimento avendo essa stessa optato per una svolta filocinese a livello di scambi commerciali e di geoeconomia.
La teoria dell’anticipo rispetto ai dati ufficiali segnalati all’OMS circa l’incipit pandemico troverebbe riscontro in una ricerca dall’Istituto tumori di Milano che, in collaborazione con l’Università di Siena, aveva sottoposto a screening tumorale ai polmoni un migliaio di pazienti tra settembre 2019 e marzo 2020. Come riferito dal quotidiano Repubblica l’11,6% di questi pazienti aveva gli anticorpi del virus: il 14% di questi già a settembre 2019, il 30% nella seconda settimana di febbraio 2020 e il maggior numero del totale (53,2%) dimorava in Lombardia. Questo ultimo dato spiegherebbe in modo empirico come tale regione sia stata fin dall’inizio l’epicentro del contagio, dal caso di Codogno a febbraio a quelli successivi di Bergamo e provincia, a Milano e ora a Monza e Varese. Probabilmente potrebbe suggerire anche una spiegazione al fatto che la Lombardia sia stata ininterrottamente da allora ad oggi la regione con il maggior numero di persone contagiate e decedute: è questo il senso che può essere attribuito al termine “focolaio”, anche se poi si propaga altrove, con una espansione esplosiva e puntilliforme. La terza ipotesi è forse la più convincente: essa è stata ampiamente spiegata da David Quammen nel suo libro Spillover nel 2014, commentato lo stesso anno dal Prof. Benini Emerito all’Università di Zurigo sul Domenicale de IL SOLE24ORE e poi ripreso in due interviste per il Domani d’Italia. Si basa sulla teoria della rottura della sostenibilità ambientale, studiata dall’ONU nel Rapporto 2019, ripreso in sede OCSE e da molti scienziati: la contaminazione virale passa dall’animale all’uomo perché si spezza un equilibrio che si basa sul principio della tolleranza eco-sistemica. L’incremento demografico, la distruzione della natura, l’estinzione graduale di certe forme di vita sul pianeta, la deforestazione galoppante, lo scioglimento dei ghiacciai, l’innalzamento dei mari, il rialzo termico: sono tutti fattori di indebolimento del genoma umano di fronte alla ribellione della natura violata.
Secondo il biologo Edward O. Wilson alla presenza di 6 miliardi di esseri umani sul pianeta è scattato un semaforo rosso di non-sostenibilità ambientale. Consideriamo che ora siamo 7,5 miliardi e a fine secolo diventeremo 11 miliardi: la conclusione dell’ONU è raccapricciante, se non si fa qualcosa per fermare la devastazione del pianeta potremmo arrivare ad un big crash finale, la sesta estinzione della vita sulla Terra, la prima per mano dell’uomo. L’estinzione graduale di alcune specie animali è già in atto: il grande rischio è quello di una alterazione del genoma umano non controllabile con i mezzi attuali. Si profila dunque l’ipotesi di un conflitto decisivo tra natura e sua sistematica alterazione, intesa come cambiamento radicale e indotto dello statuto biologico dell’essere umano.
Una materia dibattuta a livello accademico che dovrebbe essere spiegata alla gente attraverso una informazione puntuale, scientifica pur se in modo divulgativo e traducibile in stili di vita che non violentino la natura e rendano sostenibile la vita dell’uomo sul pianeta.
Il paradosso più evidente che stiamo vivendo consiste nel fatto che il virus rappresenta la natura che cerca spazi vitali di difesa dall’invasione di un ecosistema a struttura esclusivamente umanocentrica: il fatto che finora la natura abbia sempre vinto, ribellandosi alle alterazioni prodotte dall’espansione materiale e tecnologica dovrebbe indurre qualche riflessione se vogliamo dare un senso a parole come “green economy” o “riconversione ecologica”.
* Già dirigente ispettivo MIUR
di Francesco Provinciali *
di Francesco Domenico Capizzi *