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17 aprile 2024
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L’accordo UE - Turchia sui rifugiati: la disfatta della realpolitik europea

Carola Cerami * - 22.11.2017
Accordo UE-Turchia

Nel corso del 2015, a fronte di un’imponente ondata migratoria proveniente dal Vicino/Medioriente e diretta verso le coste europee, il ruolo geopolitico e strategico della Turchia, acquisìper i paesi europei un rinnovato interesse. La Turchia apparve agli europei il luogo più adatto per accogliere oltre tre milioni di profughi siriani e ridurre drasticamente gli arrivi di profughi in Europa. Così, dopo quasi un decennio di relativa stagnazione nei rapporti UE - Turchia, l’emergere di nuove ‘priorità di collaborazione’, spinsero verso un rilancio complessivodel processo di integrazione della Turchiain Europa(nonostante i controversi sviluppi della politica interna turca).Questa linea politica dettata da principi di realpolitik, venne espressa al Vertice UE - Turchia del 29 novembre del 2015. Lo scopo centrale fu l’attuazione di un accordo di collaborazione per frenare l'arrivo di rifugiati dal Vicino/Medio Oriente, in cambio di aiuti economici. L'UE si impegnò a finanziare un piano d'azione comune con l’obiettivo di contenere i flussi migratori; impedire i viaggi dalla Turchia verso l'UE e procedere al rimpatrio rapido nei rispettivi paesi di origine. La Turchia in cambio chiese di completare il processo di liberalizzazione dei visti e di riaprire i negoziati per il processo di adesione della Turchia in Europa.Il 18 marzo del 2016 con la cosiddetta Dichiarazione UE – Turchia venne ribadito l’impegno ad attuare il piano d'azione comune per arginare il flusso di immigrati verso l'UE. Bruxelles creò un fondo per i rifugiati offrendo ad Ankara una dotazione di 3 miliardi di euro per il periodo 2016-2017.I leader europei presentarono l’accordo come un successo del pragmatismo: un accordodi convenienza tra due parti basato su un calcolo reciproco degli interessi. L'Europa arginava l'ondata di migranti che raggiungeva le sue coste e la Turchia ottenevain cambio denaro e altri benefici.La realpolitik trionfava, i leader europei esultavano e gli arrivi in Grecia diminuivano drasticamente.

Ma l’euforia durò poco. I calcoli europei non risultarono corretti e, a più di un anno di distanza, le conseguenze di scelte politiche poco lungimiranti e poco coraggiose, appaiono sempre più evidenti. In primo luogo, l’accordo ha posto l’Europa in una condizione di dipendenza e di ricattabilità. La Turchia è riuscita a utilizzare la sua cooperazione sul controllo della migrazione come una carta efficace per esercitare pressioni crescenti sull'UE, utilizzando come strumento di contrattazione la minaccia dell’"arma di migrazione di massa". L’Europa, incapace di affrontare la grande emergenza migratoria con una visione e un ruolo da leader nel contesto internazionale, ha scelto di affidarsi ad un paese sempre più problematico, ponendosi in una condizione di vulnerabile dipendenza e di inevitabile contraddizione. Contemporaneamenteinfatti la Turchia ha intrapreso un percorso di crescente autoritarismo, islamizzazione e sospensione delle principali libertà democratiche.Il tentativo fallito di colpo di stato militare del 15 luglio del 2016, la successiva dichiarazione dello stato di emergenza in tutto il paese, la stretta di Erdogan sul sistema giudiziario, sulla polizia, sui militari, sul mondo accademico e i media, rappresentarono un ulteriore tassello di uno scenario allarmante. L’ultimo episodio in ordine temporale è il referendum costituzionale turco svoltosi nell’aprile 2017. Gli emendamenti costituzionali previsti dal referendum prevedono una concentrazione di potere senza precedenti nelle mani del presidente Erdogan: quando entreranno in vigore, nel 2019, difficilmente si potrà definire quello turco un sistema democratico. In questo scenario i rapporti con l’Europa sono sempre più travagliati e si moltiplicano le richieste di sospensione formale del processo di adesione alla UE.La minaccia di una rottura dell’accordo sui rifugiati con Bruxelles rimane all’ordine del giorno, mentre Erdogan minaccia di farlo saltare “spalancando le porte ai migranti diretti in Europa”. L’Unione Europea, continua ad alimentare un atteggiamento ambiguo fra concessioni e richiami, mentre l'accordo sempre più fragilerimane in vigore perché entrambe le parti pensano in vario modo di ricavarne dei vantaggi.

Nel frattempo le organizzazioni umanitarie, prime fra tutte Save the Children e Médecins Sans Frontières, considerano l’accordo,non una storia di successo, ma una storia dell'orrore, con conseguenze terribili per la vita e la salute delle persone. A più di un anno dall’accordo, la UE rileva che gli arrivi sono calati del 97%, ma in Grecia e nei Balcani sono intrappolate circa 100 mila persone in campi di raccolta squallidi e sovraffollati. Circa 15.000 persone sono trattenute in condizioni disumane, negli hotspot delle cinque isole dell'Egeo che hanno sopportato il peso dell'afflusso ben oltre la capienza complessiva dei campi che sarebbe di 7.450 posti. Circa 50mila persone (soprattutto siriani, afgani e iracheni) sono bloccate in Grecia, sulla terraferma, e vivono da mesi nei campi profughi in attesa che la richiesta d’asilo, di ricollocamento o di ricongiungimento familiare sia esaminata dalle autorità. Dimitris Christopoulos, capo della Federazione Internazionale per i Diritti Umani, ha dichiarato: "L'Europa sta chiaramente cercando di esternalizzare la gestione dei rifugiati e dei migranti creando zone cuscinetto attorno all'UE o ai suoi confini, come nel caso della Grecia. Questa è una scelta politica che non mina solo la legge e la protezione internazionale dei rifugiati, masoprattutto i valori democratici dell'Europa".

In Turchia, la situazione dei profughi, soprattutto siriani è molto più articolata e assume nuove sfumature.Nell’insieme la Turchia ha creato 23 campi profughi che ospitano però solo l’8 per cento dei 3,5 milioni di profughi affluiti in Turchia. Questo significa che la maggioranza dei profughi si muovono nelle città turche, in condizioni spesso di sopravvivenza e di incertezza sul proprio futuro.Nel frattempo però l’abile propaganda del partito di Erdogan, presenta i centri di accoglienza come un esempio di eccellenza nell’accoglienza dei rifugiati e il governo promette ai profughiun percorso per ottenere la cittadinanza turca. I profughi diventano per Erdogan un elemento di forza nei rapporti con l’Europa e nelle complesse vicende della politica interna turca. Degna di nota è poi la strategia adottata nelle provincie curde dell’Anatolia e in quelle laiche dell’Egeo. Tramite una integrazione forzata,i rifugiati siriani stanno mutando la faccia di questi territori diluendo la componente curda a vantaggio di quella araba, in un crescente processo di islamizzazione.

Di fronte all’attivismo turco, l’Europa delega, dimenticando una storia orgogliosa di impegno nei confronti del diritto internazionale e dei diritti umani.Eppure, la rinascita europea potrà avvenire soltanto nella valorizzazione e nella difesa più autentica dei propri valori di libertà, difesa della dignità umana e promozione della “società aperta”. Soltanto il coraggio di una leadership europea sulla migrazione a sostegno di questi valori potrà permettere all’Europa di ritrovare se stessa.

 

 

 

 

* E' assegnista di ricerca in Storia internazionale all’Università di Pavia e direttore dell’International Center for Contemporary Turkish Studies di Milano