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L'"altra Italia" di Mattarella

Luca Tentoni - 05.01.2019
Mattarella

Il discorso di fine anno del Capo dello Stato ha stupito molti ascoltatori e commentatori per le argomentazioni e i toni "controcorrente" usati da Mattarella. Alcuni si aspettavano un cenno di risposta alle ingiurie, alle accuse immotivate che gli sono state mosse durante la gestione della più complessa crisi di governo del Dopoguerra. Se il presidente avesse replicato, avrebbe finito per rinfocolare polemiche, per accentuare attriti. In pratica, avrebbe dovuto rinnegare quel messaggio di unione, di ricerca dello stare insieme e di ricostruire le ragioni della comunità che invece ha affermato nel discorso di fine anno. Ha invece marcato la diversità di una comunicazione tradizionale ma non formale. Ha per un momento fatto tornare in primo piano il Paese che non vive di odio e di costruzione di paure e di nemici, ma l'Italia che ogni giorno si riscopre unita per superare le difficoltà e mettere le proprie grandi risorse umane, relazionali ed economiche a disposizione degli ultimi, dei dimenticati. Il filo del discorso di Mattarella è lineare. Lo si ritrova in tutti i principali momenti del messaggio agli italiani: l'accenno alla semplicità dell'appuntamento di fine anno che stride con la compulsiva attività dei politici (e di molti altri) che ormai vivono dentro la bolla dei social network; il passaggio sulla necessità di concepire il problema della sicurezza ripartendo dalla coesione nazionale contro le mafie, il degrado, l'odio sociale; lo spazio dedicato a riconoscere i meriti del Terzo settore e dell'azione quotidiana e "normale" (non mediatica, non esibita, non "muscolare") di quanti si dedicano con generosità al servizio del prossimo, sostituendo in certi casi uno Stato inefficiente. Quello del Quirinale è stato un richiamo alla normalità per un Paese abbacinato da "ricette miracolistiche", spinto dagli imprenditori politici dell'odio ad adottare il "modello di vita degli ultras violenti, estremisti travestiti da tifosi". Resta da chiedersi se oggi l'Italia sia in grado di spezzare l'incantesimo, di realizzare quella "convivenza più serena che non significa chiudere gli occhi davanti alle difficoltà", di "andare incontro ai problemi con parole di verità, senza nasconderci carenze, condizionamenti, errori, approssimazioni". Guardare in faccia la realtà e reagire con un "lavoro tenace e coerente, lungimirante, che richiede competenza e costa fatica e impegno" è difficile, soprattutto se la classe politica non sembra voler seguire questa via e se l'elettorato finisce per pensare prevalentemente al vantaggio immediato e non al peso che si scarica sulle generazioni future. Episodi come "la grande compressione dell'esame parlamentare della legge di bilancio e la mancanza di un opportuno confronto", così come il pasticcio della "tassa sulla bontà" o l'idea balzana di "snaturare la funzione delle Forze Armate, destinandole a compiti non compatibili con la loro elevata specializzazione" (in parole povere, usare l'esercito per rimuovere la spazzatura che Roma non sa o non può gestire) indicano che dell'Italia civile e normale invocata da Mattarella non c'è traccia, nell'agire politico. Eppure, come il presidente ha spiegato, ci sono ampi settori della comunità nazionale che hanno coscienza della situazione e volontà di superare le difficoltà e le approssimazioni. Purtroppo, però, non hanno voce o non sono ascoltate, come l'anziana signora che, "sentendosi sola nella notte di Natale, ha telefonato ai Carabinieri" chiedendo un po' di compagnia ("e loro sono andati a trovarla, portandole a casa un po' di serenità", racconta Mattarella). Entrando nell'anno elettorale che culminerà col voto del 26 maggio per il rinnovo del Parlamento europeo, il Quirinale ha ribadito che "le difficoltà possono essere superate rilanciando il progetto dell'Europa dei diritti, dei cittadini e dei popoli, della convivenza, della lotta all'odio, della pace". Per questo, è opportuno - ma non scontato - che la campagna elettorale "si svolga con serenità e sia l'occasione di un serio confronto sul futuro dell'Europa": due condizioni che oggi non sussistono, sia perché la mancanza di serenità è funzionale alla raccolta dei voti (un nemico serve sempre, a chi non ha un progetto costruttivo di futuro da offrire agli elettori), sia perché un serio confronto richiederebbe una capacità e una volontà di analizzare i problemi che oggi manca (e che comunque è difficile da veicolare con i 280 caratteri di Twitter o con i comizi su Facebook, dove non contano le idee, ma solo la propaganda abilmente costruita e la presenza scenica dei leader politici). Nell'Italia normale di Mattarella c'è spazio anche per coloro i quali - come i ragazzi e gli adulti del Centro di cura per l'autismo di Verona, che il presidente ha citato nel discorso - sono sovente oggetto di derisione e di scherno, se non di atti violenti, da parte di chi preferisce seminare l'odio per i "diversi" (come accade anche agli stranieri, ai quali non a caso è stato rivolto uno specifico, caldo, augurio presidenziale). La differenza fra gli ultras e l'impostazione inclusiva e civile del Capo dello Stato sta nel fatto che per Mattarella l'Italia non può che essere - in tutte le sue espressioni - "una e indivisibile": deve cioè comprendere tutti, perché una comunità non si misura per i confini che traccia e per i muri che alza, ma per la capacità di comporre le differenze e - valorizzandole - costruire un percorso comune, fraterno, fattivo. Un Paese di atomi egoisti e conflittuali è destinato a perdersi. L'Italia normale di Mattarella, dunque, non è il paradiso terrestre, ma sicuramente è l'unico modo per scongiurare il peggio, prima che sia troppo tardi.