Il travagliato ma utile ritorno dell’educazione civica nelle scuole
Il precedente Ministro del MIUR (ora Ministero dell’istruzione) Marco Bussetti l’aveva annunciato con enfasi, come una svolta epocale: “Oggi è una giornata storica! Finalmente ritorna l’educazione civica come materia obbligatoria nelle scuole. Un traguardo necessario per le giovani generazioni perché sono i valori indicati nella Costituzione a tenere unito il nostro Paese. Il compito della scuola è di educare alla cittadinanza attiva, al rispetto delle regole, all’accoglienza e all’inclusione, valori alla base di ogni democrazia”.
Correva lontana l’estate del 2019 e l’educazione civica sarebbe dovuta rientrare con pieno titolo tra le materie scolastiche nelle scuole di ogni ordine e grado con l’inizio dell’anno scolastico 2019/20, con 33 ore all’anno di insegnamento ad hoc. Poi era successo il pasticcio della tardiva pubblicazione della legge istitutiva sulla G.U. del 20 anziché del 16 agosto, a cui aveva tentato di rimediare lo stesso Ministro con un decreto ministeriale in data 27 agosto che introduceva la materia come “sperimentazione nazionale obbligatoria”, a sua volta definitivamente cassato dal Consiglio nazionale della P.I. che aveva ritenuto inopportuno un così tardivo provvedimento a tre giorni dall’inizio del nuovo anno scolastico.
Tutto rimandato ope legis al 2020/21, dunque: infatti con lo scorso mese di settembre l’educazione civica è tornata ad essere materia curricolare, dalla scuola dell’infanzia alle superiori.
Nel frattempo le cose si sono complicate per ciò che è accaduto nel corso dell’a.s. 2019/20: la chiusura delle scuole da fine febbraio per il Covid-19, gli alunni a casa, le famiglie in enorme difficoltà, la sperimentazione della didattica a distanza, i salti mortali doppi, tripli e carpiati degli insegnanti che hanno cercato di mantenere un contatto didattico e visivo, persino telefonico con i loro scolari, gli esami di licenza media e di maturità riveduti, corretti e semplificati a motivo dell’insorta emergenza pandemica.
Un lungo periodo di latenza del sistema formativo che ha provocato complicazioni didattiche e turbamenti emotivi: le scuole chiuse sono state una necessità sanitaria e – a un tempo- una sventura pedagogica, poiché la formazione e l’istruzione sono elementi costitutivi della crescita umana, sociale ed economica di un Paese. Un disagio profondo vissuto da docenti, famiglie, alunni che resterà nella memoria collettiva come un incubo degno di un periodo bellico, all’atto pratico una sorta di catastrofe sociale irripetibile.
Adesso che Governo, Ministero PI, Regioni, enti locali e istituti dell’autonomia scolastica stanno prendendo consapevolezza dei ritardi con cui sono partite le operazioni di organizzazione della riapertura delle scuole durante il mese di settembre e si trovano di fronte alla reiterazione e differenziazione di problemi enormi , ai quali non si è colpevolmente pensato prima, nonostante il documento degli esperti sanitari e le linee guida della commissione ministeriale, i collegi dei docenti in videoconferenza e i dirigenti scolastici in presenza stanno tentando di ipotizzare in itinere quella che più volte abbiamo definito una quadratura del cerchio. I vincoli sanitari (in primis distanziamento e mascherine, sanificazione e igiene personale e degli ambienti) impongono situazioni al limite di ogni possibile previsione organizzativa. Ci sono problemi di spazio e di tempo: il che vuol dire le coordinate entro cui sono riprese la frequenza scolastica e le attività didattiche. La carenza di personale e la disponibilità degli spazi sembrano ancora le problematiche a cui sarà concatenato tutto il resto nel prosieguo dell’anno scolastico: come formare piccoli gruppi di alunni rispettando il metro “da bocca a bocca” con l’obbligo delle mascherine dentro i locali, dove allocarli fisicamente sfruttando tutti gli spazi attrezzabili, come garantire la continua igienizzazione degli ambienti, come assicurare una frequenza proficua e dignitosa agli alunni portatori di disabilità, la refezione scolastica (che è momento educativo ma anche soluzione senza alternative visto che permane il divieto di portare il panino da casa, a meno che non si svolgano solo turni orari antimeridiani), il possibile allungamento al sabato ecc. a cui si aggiungono le solite ipotesi demagogiche: usare ambienti esterni, teatri, sale pubbliche, musei, fare didattica all’aperto, magari in pieno inverno o utilizzare improbabili e non meglio definiti esperti, volontari, figure esterne pur sapendo che la responsabilità di vigilanza e gestione degli alunni sarà per l’intero anno scolastico del tutto a carico dei docenti di classe.
Dirlo è facile, realizzarlo decisamente meno. L’anno scolastico è iniziato il 14 settembre (ma è stato subito interrotto dalla parziale tornata elettorale amministrativa e da quella referendaria) , il calendario è formulato ma è solo una cornice a cui manca un quadro tutto da dipingere. Gli addetti ai lavori sanno bene che ci sono problemi quasi irrisolvibili, ‘sic stantibus rebus’ rispetto alle risorse umane e agli spazi disponibili, decisamente insufficienti.
Incombe il pericolo di una montante ondata di ritorno di contagi, forse un lockdown settoriale per aree territoriali e contesti lavorativi, il momento è delicato e ci sono troppe richieste da considerare e mentre cresce il fronte negazionista e della disubbidienza, aumenta anche una prevalente preoccupazione diffusa, dettata dal buon senso comune e dalle evidenze scientifiche, per fortuna maggioritaria nei comportamenti.
Che il “settembre della scuola che riapre” sarebbe tornato puntuale era un pensiero a cui dedicare tempo e ingegno, investimenti e studi di settore con largo anticipo rispetto agli assilli del presente.
Evidentemente scuola e formazione stanno agli ultimi posti degli investimenti pubblici (il Ministro Fioramonti si era dimesso per non aver ottenuto ciò che chiedeva, non per se’ ma per il buon funzionamento di un pubblico servizio essenziale) e dell’agenda della politica. Penso che strada facendo si prospetteranno difficoltà che toglieranno il sonno a più di una persona ma sono convinto che l’impegno e la serietà di fondo che anima gli addetti ai lavori, a cominciare dai dirigenti scolastici, agli insegnanti, agli ausiliari, con loro grande sacrificio e abnegazione a poco a poco toglierà molte castagne dal fuoco.
Riesce persino difficile scriverne restando agganciati a dinamiche in continua evoluzione: l’età media dei contagiati è scesa mentre ne è vorticosamente salito il totale giornaliero, alcune classi, alcuni plessi, taluni istituti sono stati addirittura chiusi in quanto sedi di focolai diffusivi.
Ecco allora che, rovesciando la medaglia del disagio vissuto, di quello incombente e dei mille problemi da risolvere, il ritorno dell’educazione civica nelle scuole potrebbe diventare non un grattacapo aggiuntivo da gestire ma una risorsa da utilizzare, una sorta di fulcro tematico e pedagogico, uno snodo per stimolare in tutti, anche negli alunni e nelle loro famiglie, sentimenti di condivisione, partecipazione, solidarietà.
Nel rispetto dell’istituzione e del compito che le viene assegnato.
In questo anno scolastico, così denso di incognite e di difficoltà l’educazione civica, anche nei limiti delle 33 ore annuali di programma, può diventare strumento formativo per radicare un’idea di appartenenza, il sentirsi parte di una comunità affinché ciascuno sia responsabilmente consapevole di portare, secondo le sue potenzialità, un piccolo mattone alla costruzione del bene comune.
La pedagogia sociale sta mostrando tutti i suoi limiti per convincere la popolazione ad imboccare la strada dei comportamenti virtuosi che comporta nuove restrizioni, veti, obblighi, limitazioni, rinunce.
La pedagogia scolastica è essa stessa messa a dura prova dalla realtà ma agendo in un ambito educativo per definizione, può accrescere il senso civico con un effetto esemplare e moltiplicatore, all’interno dell’istituto ma per riflesso esportabile a casa e nei contesti esterni di vita collettiva.
* Già dirigente ispettivo MIUR
di Luca Tentoni
di Francesco Provinciali *