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Il puzzle curdo

Giovanni Parigi * - 07.04.2016
Kurdistan Admin Subdivisions

I curdi sono come il fuoco.

Se ti avvicini gentilmente, ti riscaldano.

Se ti avvicini bruscamente, ti bruciano

(Leyla Zana – Politica ed attivista curda contemporanea)

 

 

Guardando su una cartina la distribuzione della popolazione curda in Medio Oriente, sembra di essere di fronte ad un complesso e frastagliato puzzle, che si sovrappone ai confini di Siria, Iraq, Iran e Turchia. In realtà, ad essere travalicati dalla complessità della questione curda sono anche i confini politici, culturali, sociali e ideologici interni del popolo curdo stesso. In altri termini, i curdi sono accomunati dal Kurdayeti, ovvero il nazionalismo curdo, ma sono molto divisi sul come concretamente realizzarlo. Del resto non stupisce il fatto che i curdi, più che una lingua comune, parlino diversi dialetti affini. Protetti, ma anche divisi, dalle montagne oggi però la Storia sembra offrirgli una seconda opportunità di affermazione nazionale. Infatti, alla fine della prima guerra mondiale, il nazionalismo turco e gli appetiti franco-britannici non lasciarono spazio alla nascita di una nazione curda; oggi però il Califfato ha cancellato confini in Siria e Iraq, riaprendo la questione.

Oggi, la questione curda può essere letta su tre livelli strettamente interconnessi, ovvero quello internazionale, regionale e nazionale. Sul primo di questi livelli, la comunità internazionale ha sempre tenuto un atteggiamento cauto; appoggiare le istanze curde avrebbe significato sconvolgere assetti ed equilibri in Medio Oriente; dunque molto raramente si è andato oltre ad inviti al rispetto dei diritti culturali o condanna in caso violazione diritti umani. La questione curda, di fatto, è rimasta una questione interna a ciascun stato.

A livello regionale i curdi, grazie alla loro presenza in diversi stati e alle loro divisioni interne, sono stati sfruttati tra paesi confinanti come elemento destabilizzante; in altri termini, hanno combattuto le guerre per procura tra Siria e Turchia o tra Iran e Iraq, guadagnandoci solo una ulteriore frammentazione interna.

E’ dunque a livello nazionale che troviamo la migliore chiave interpretativa della questione curda.

In Turchia, per il governo, i curdi hanno sempre rappresentato un problema. L’identità turca kemalista, ieri, ed oggi quella neo-ottomana, non lasciano spazio né politico né culturale ad una identità curda. A dire il vero, nel 2013, con la firma di un cessate il fuoco col Partito dei Lavoratori (PKK) Erdoğan sembrava aver intrapreso la strada di una soluzione pacifica della questione curda. Senonchè, di lì a breve, il conflitto si è riacceso; la Turchia ha infatti assistito ad una brusca svolta in politica estera, divenuta interventista, oltre che ad una involuzione autoritaria di stampo putiniano. Questa situazione è in buona parte conseguenza della crisi siriana, percepita dal governo turco sia come una opportunità di espansione d’influenza a spese dell’arcinemico al Assad, che un rischio in caso di affermazione di una entità curda siriana. Senonchè la politica turca è fallita su tutta la linea, con al Assad salvato dai russi (nemici storici turchi) e i curdi di Siria (legati al PKK) di fatto indipendenti. Non a caso, dunque, il partito di Erdoğan lo scorso novembre 2015 ha vinto le elezioni proprio sfruttando le vampate nazionaliste riaccese dalla ripresa del conflitto con il PKK nelle province curde, nonché le paure scaturite dagli attentati attribuiti al Da’esh.

Peraltro, il panorama politico dei curdi turchi è decisamente variegato e a rappresentare i curdi di Turchia, non c’è solo il PKK. Infatti, oltre a gruppi armati dissidenti come i Falconi della Libertà Curda (TAK), si sta affacciando un ricambio ideologico generazionale. Inoltre, in parlamento è presente il Partito Democratico Popolare (HDP), che sembra raccogliere un diffuso appoggio dai curdi, in particolare quelli moderati che non vogliono l’indipendenza ma autonomia politico-amministrativa e miglioramento economico nelle province a maggioranza curda.

In Siria la situazione è strettamente interconnessa a quella turca. Infatti la principale forza politica dei curdi siriani, ovvero il Partito dell’Unione Democratica (PYD), è strettamente legato al PKK turco o, quanto meno, tale è considerato da Ankara. Il fatto è che le milizie curde dell’Unità di Protezione Popolare (YPG), dopo aver instaurato una tregua con le truppe governative, sono recentemente avanzate riuscendo a prendere il controllo di una fascia di oltre 400 km, perpendicolare e a ridosso del confine turco.

Forti di questa vittoria, i tre cantoni curdi di Jazir, Kobane e Efrin, a metà marzo hanno proclamato a Rmeilan la nascita di una entità federale democratica curda nel Rojava, nella Siria del nord; in pratica si tratta di una prova generale alla dichiarazione di indipendenza. Al Assad ed Erdoğan, sebbene arcinemici, hanno reagito pressocchè all’unisono, dichiarandola illegittima; anche gli USA si sono associati, temendo che sia non solo un ostacolo alla fragile tregua in corso, ma anche un primo passo per la divisione e cantonizzazione etnico-confessionale siriana. Non è un caso che la leadership curda non abbia partecipato agli accordi di Ginevra che han portato alla tregua siriana. 

E’ però nel Kurdistan iracheno che emergono tutte le contraddizioni curde. Infatti il Governo Regionale Curdo ha da tempo stabilito buoni rapporti con la Turchia e vede con sospetto gli altri movimenti curdi circostanti. Peraltro, i curdi iracheni sono da decenni divisi in due principali partiti, l’Unione Patriottica Curda (PUK) e il Partito Democratico Curdo (KDP); in realtà, dietro queste sigle si nascondono due gruppi di potere, fondati rispettivamente sui clan tribali dei Barzani e dei Talabani, che gestiscono il potere politico e l’economia in maniera pressocchè feudale. Senonchè, forse proprio per far dimenticare la fortissima crisi economica e le accuse di corruzione, il presidente del governo curdo Massud Barzani ha proposto di tenere un referendum sull’indipendenza del Kurdistan.

Infine, quanto alla comunità curda in Iran, è da evidenziare che se da un lato appare più integrata rispetto alle altre comunità curde, dall’altro è ancora viva la lotta del Partito della Vita Libera in Kurdistan (PJAK) sebbene sia fuori dai riflettori mediatici.

 

 

 

 

* Giovanni Parigi insegna Cultura Araba presso il corso di laurea di Mediazione Linguistica e Culturale dell’Università Statale di Milano. Ha lavorato e studiato in Medio Oriente e scrive per Limes, ISPI, Fondazione OASIS e Qui Finanza.