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Il declino dei 5 Stelle

Stefano Zan * - 09.02.2019
Declino 5 Stelle

Ci sono almeno cinque fattori che inducono a pensare che il calo dei consensi registrato dai 5 Stelle nell’ultimo anno possa continuare nei mesi a venire: il sistema di offerta politica; la leadership; le proposte; l’Europa; il costo delle mediazioni di governo.

Fino al 4 marzo 2018 i 5 Stelle erano l’unico partito radicalmente alternativo al “regime” precedente e l’unico partito nuovo presente nell’arena politica. Nel giro di pochi mesi la Lega è riuscita a presentarsi tanto come partito nuovo quanto come partito alternativo togliendo ai 5 Stelle il monopolio dell’alternativa. Soprattutto al sud la Lega si presenta come il vero partito nuovo laddove i 5 Stelle sono presenti con successo già da alcuni anni. L’offerta politica, per chi voglia esprimere un forte dissenso nei confronti dei governi precedenti, è cambiata profondamente e offre oggi due opzioni anziché una sola il che, ovviamente, consente di indirizzare in maniera diversa il voto di protesta erodendo consenso a chi prima aveva, appunto, una sorta di monopolio.

La questione della leadership è articolata e presenta molti aspetti. Intanto Salvini, con la metà dei parlamentari, è riuscito a imporsi nei fatti come il vero leader del governo con una capacità contrattuale assolutamente superiore al numero dei seggi che controlla. Ma all’interno del Movimento la leadership di Grillo è sempre più lontana, distaccata, evanescente; Casaleggio figlio non ha in alcun modo il carisma del padre; Di Maio è capo politico ma non certo leader carismatico e, soprattutto, è già in scadenza perché alle prossime elezioni, per le regole del Movimento, non potrà ricandidarsi. Tutto il gruppo dirigente in parlamento, dai ministri ai sottosegretari, ai presidenti di commissione è di una debolezza straordinaria e quando si presenta in pubblico tra gaffes, errori, incertezze non aumenta certo i consensi bensì le perplessità sulla preparazione e l’affidabilità di queste figure. Il Movimento si ritrova dunque in questa fase a non aver un leader forte che possa competere con le indubbie doti di leadership di Salvini.

Esaurita la grande spinta elettorale e propagandistica del reddito di cittadinanza, divenuto ormai legge, non si conosce alcuna proposta nuova e forte dei 5 Stelle, laddove la Lega ha già lanciato la proposta dell’abbassamento al 20% della prima aliquota Irpef, proposta elettoralmente molto più accattivante della flat tax. I 5 Stelle tacciono o propongono interventi minimalisti certamente non in grado di mobilitare grandi masse di elettori.

Sull’Europa, da sempre punto di debolezza dei 5 Stelle per l’ambiguità con cui hanno affrontato il problema i segnali sono ancora una volta di grande ambiguità: siamo diversi da tutti e cerchiamo in Europa alleati che la pensino più o meno come noi, ma al momento questi alleati non si trovano. L’idea di chiudere la sede di Strasburgo, per quanto demagogica, è troppo debole per nascondere la mancanza di idee e di proposte serie su un tema così delicato. Considerando che questa volta la campagna elettorale per le europee sarà una campagna dura vista la determinazione della Lega da un lato e dall’altro la volontà delle opposizioni di recuperare credibilità i 5 Stelle partono da una posizione di generale debolezza.

Lascio per ultimo i costi legati alle mediazioni di governo con la Lega non perché siano meno importanti, anzi, ma perché essendo i più evidenti rischiano di nascondere gli aspetti di cui ho parlato in precedenza. Ilva, Tap, Tav, migranti, autorizzazione a procedere nei confronti di Salvini sono tutti temi sui quali i 5 Stelle hanno perso e rischiano di perdere ulteriori consensi perché costretti a mediazioni che vanno contro la volontà di buona parte dei loro sostenitori. Il dato curioso è che sono stati gli stessi 5 Stelle a mettersi in difficoltà con le loro posizioni intransigenti e massimaliste sostenute con forza quando erano all’opposizione e in campagna elettorale. Per loro ogni mediazione, assolutamente normale in qualsiasi governo di coalizione, diventa un tradimento di principi e di valori non negoziabili. E il tradimento, in politica, è un “reato” particolarmente grave perché esprime una palese violazione del vincolo sostantivo di mandato. Con un elettorato così idealista e radicale ogni singolo accordo non perfettamente in linea con le posizioni originarie del movimento costa un certo numero di voti e un allontanamento dal movimento stesso.

È probabile che i 7 punti percentuali persi in questo anno siano da ascriversi principalmente a quelli che abbiamo chiamato i costi della mediazione. Ma da un lato questi sono costi elettorali che dovranno essere sostenuti anche in futuro e dall’altro lato sono costi che si sommano a quelli che abbiamo evidenziato in precedenza.

Alla luce di queste considerazioni sembra plausibile ipotizzare che i 5 Stelle abbiano intrapreso una fase di declino nei consensi che proseguirà nei prossimi mesi, anche se nessuno è in grado di dire oggi in che modi e in che tempi. Molto dipende infatti dalle contingenze esterne e dalla eventuale capacità del movimento di reagire alle tendenze che abbiamo ipotizzato come probabili.

 

 

 

 

* E' stato docente universitario di Teoria delle organizzazioni. Il suo blog è ww.stefanozan.it