Il "bipolarismo comunale"
Con le elezioni amministrative del 5-19 giugno anche il sistema politico dei grandi comuni italiani sembra destinato ad abbandonare la lunga stagione del bipolarismo. Come abbiamo accennato nello scorso intervento su Mentepolitica, la pluralità di candidature competitive rende più che probabile la dispersione del voto e l'arrivo al ballottaggio di personalità che forse insieme rappresenteranno poco più della metà degli elettori votanti al primo turno. In questo modo potrebbe essere certificata la fine, anche a livello locale, della ventennale stagione del confronto fra due coalizioni che aveva caratterizzato la Seconda Repubblica fino alla svolta rappresentata dalle “politiche” del 2013. Se ci si riflette, è proprio dall'introduzione del nuovo sistema per l'elezione diretta dei sindaci che si afferma, all'inizio degli anni Novanta, l'epoca della politica fondata sul successo dei leader e sulla necessità di costruire alleanze e coalizioni competitive. La caratteristica dei sistemi elettorali comunali e di quelli nazionali era, fino al '92, la rappresentazione proporzionale delle preferenze politiche dei cittadini. Le maggioranze in Parlamento e nei comuni - anche se ampiamente annunciate in precedenza - si concretizzavano al momento di scegliere, in assemblea, la giunta (locale) o il governo (nazionale). I partiti, che prima negoziavano sulla base dei risultati elettorali e dei rapporti di forza, si sono invece trovati – dal ’93 - ad allearsi per superare la prova del voto. Mentre il Presidente del Consiglio, però, non è mai stato formalmente eletto dal popolo (persino il Porcellum indicava il "capo della coalizione", perchè il ruolo del Presidente della Repubblica e del Parlamento non sono stati modificati, neppure in occasione della riforma costituzionale che sarà sottoposta al giudizio degli italiani nel prossimo ottobre), il sindaco lo è sempre stato, dal 1993 in poi. L'elemento maggioritario e personalizzante della competizione è stato accentuato sia dalla necessità - nei comuni - di raggiungere e superare il 50% dei voti validi per conseguire l'elezione al primo turno, sia dall'eventuale ballottaggio "chiuso" (cioè riservato ai primi due, in modo da bipolarizzare la competizione). Poi il Mattarellum, nelle differenti versioni per Camera e Senato, ha spinto il sistema dei partiti a riaggregarsi intorno a due schieramenti contrapposti. Persino il Porcellum ha continuato ad avere effetti bipolarizzanti, consentendo però ai partiti maggiori (Pd e Pdl) di competere senza la necessità di costituire coalizioni omnibus: rispetto al 2006, infatti, nel 2008 l'Udc "ha corso" fuori dal centrodestra (Pdl-Lega-Mpa) e la sinistra radicale (Arcobaleno) è restata fuori dal centrosinistra (Pd-Idv). Si sono formate "coalizioni minime vincenti" ma l'impianto è rimasto bipolare, finchè l'elettorato ha scardinato il sistema e imposto un assetto diverso. Pur riuniti in due poli competitivi, centrosinistra di Bersani e centrodestra di Berlusconi hanno avuto insieme solo il 58,73% dei voti per la Camera dei deputati, nel 2013. L'indice di bipolarismo, cioè la percentuale dei voti ottenuta dalle due coalizioni meglio classificate alle elezioni politiche (in particolare, alla Camera e, per quanto riguarda il periodo 1994-2001, limitatamente al voto per la parte proporzionale) è salito dal 77,18 del 1994 (abbiamo considerato però, come avversaria dei Progressisti, l'alleanza fra i due "tronconi" del centrodestra: al nord Forza Italia con la Lega, al sud FI-AN; in realtà vanno conteggiati nel polo di centrodestra i voti di tutti i partiti di quella che subito dopo le elezioni sarebbe diventata l'alleanza sostenitrice del primo governo Berlusconi) all'85,46 del 1996 (Lega fuori dai poli) per attestarsi all'84,64 del 2001 (Rifondazione e Di Pietro fuori dal centrosinistra), riprendere quota fino al 98,92 del 2006 (il vero trionfo del bipolarismo, con tutte le forze politiche schierate con l'Unione o con la CDL), discendere all'83,83 del 2008 (Udc e sinistra radicale autonomi) e infine crollare al 58,73 del 2013 (con la comparsa del M5S e di Scelta Civica). La storia, insomma, ci racconta di un sistema dei partiti che a livello nazionale parte da un indice di bipolarismo già molto alto nel 1994 (77%), si assesta sull'85% circa nel periodo 1996-2001 e che sfiora il 90% nella media delle prime tre elezioni del secolo (2001-2006-2008: 89,13%) prima del crollo del 2013. Un sistema politico e partitico completamente diverso - anche per modalità comunicative e per la presenza di alleanze elettorali e non post-elettorali come in precedenza - da quello della Prima Repubblica. Un bipolarismo che poteva concedersi defezioni di forze più o meno marginali ma che restava saldo e connotava il sistema dei partiti della Seconda Repubblica. Questo bipolarismo esisteva anche nelle elezioni per i comuni maggiori. Se prendiamo in considerazione le sette città dove si voterà il 5 e forse anche il 19 giugno (Roma, Milano, Napoli, Torino, Bologna, Cagliari, Trieste) notiamo che la percentuale di voto ai primi due candidati classificati alle elezioni comunali è stata in media dell'82,58% nel periodo 1993-2013 contro l'81,46% ottenuto alle politiche dalle prime due coalizioni nazionali nello stesso periodo. Il "bipolarismo comunale", però, ha avuto un esordio meno brillante di quello nazionale: in alcune città come Torino la lotta non è stata fra due coalizioni strutturate e identificate in candidati comuni espressioni di accordi più ampi, ma fra due candidati di sinistra (a Milano fra la sola Lega e la sinistra, a Bologna fra centrosinistra e AN, a Roma e Napoli fra sinistra e MSI). Il passaggio fra vecchio e nuovo sistema dei partiti non era ancora compiuto, nel periodo 1993-'95. Tuttavia, i due più votati nei sette comuni avevano in media il 67,6% dei consensi popolari: una percentuale ragguardevole in valore assoluto, anche se inferiore di circa dieci punti rispetto al 77,18% conquistato da centrodestra e Progressisti alle politiche 1994. Mentre nella seconda metà degli anni Novanta il bipolarismo comunale si va affermando (nel periodo del "partito dei sindaci") l'indice di bipolarismo sale di 14,6 punti (quello nazionale, invece, ne guadagna "solo" otto) anche se resta inferiore (82,28 contro l'85% delle politiche 1996 e 2001) a quello per la Camera dei deputati. Già in alcune realtà come Bologna (88,15%), Roma (96,39), Napoli (98,2) la concentrazione attorno a due candidati e la formazione di coalizioni di centrosinistra e di centrodestra è forte nel periodo 1997-'99. È però negli anni Duemila che il bipolarismo comunale prende - per così dire - il sopravvento su quello nazionale. A parte il 2006, l'anno nel quale fuori dai due competitori per la Camera (Unione e CDL) ci sono solo partiti pulviscolari, fra il 2001 e il 2008 i poli si presentano all'elettore italiano in "formazione ridotta", mentre molto spesso nei comuni non è nè possibile nè auspicabile puntare su "coalizioni minime". Sia nella tornata elettorale comunale del 2001-'04 che in quella del 2006-'09 l'indice di bipolarismo nelle sette città si attesta al 92,2%, con punte fino al 98% a Milano (2006: 98,95%) e Roma (2006: 98,51%). Non considerando l'astensionismo (che meriterebbe un discorso a parte) ma solo i voti validi, si può dire che la configurazione bipolare del sistema, nata con i ballottaggi delle comunali 1993 e affermatasi a livello nazionale con le leggi elettorali che premiavano coloro i quali erano più capaci nel coalizzarsi, si sia radicata più nelle città che nella "grande politica". L'ultima tornata elettorale, quella del 2011-2013, risente probabilmente ancora poco della comparsa del M5S e dell'evoluzione del sistema politico, ma è pur sempre vero che i candidati di centrodestra e centrosinistra, a Roma, nel 2013, ottengono il 72,87% mentre le due coalizioni nazionali più votate (quella di Bersani e quella di Berlusconi) avevano riscosso pochi mesi prima, nella Capitale, solo il 67,12% dei suffragi. La polarizzazione del voto comunale, dunque, resta più elevata, sia forse per caratteristiche della "concorrenza", sia - soprattutto - perchè la natura bipolare della competizione locale appare ancora attrattiva per l'elettore e per i partiti “di area”. E se è vero che a Roma, nel giro di pochi mesi, l'affluenza è crollata dal 77,35% delle politiche al 52,81% del primo turno delle comunali (-24,54%), è però vero che i voti assoluti delle due principali coalizioni sono diminuiti soltanto del 4,1% da 913.970 a 876.057 (risalendo a 1.039.373 in occasione del ballottaggio). Sintomo di una mobilitazione che - almeno a livello dei poli in lizza - si è dimostrata costante. Resta, dunque, un interrogativo da porsi: se quel 5-6% in più del "bipolarismo comunale" romano (che diventa 21% in più nelle sette città - 79,75 a 58,73 - sia pure con l'avvertenza che le politiche si sono svolte nel 2013 e le amministrative nel 2011 tranne che nella Capitale) sia un dato che possa restare nel tempo e caratterizzare anche questa competizione oppure no. La nostra impressione è che la smobilitazione, che nel 2011 era in potenza e che nel 2013 si è palesata con forza alle elezioni politiche più che alle comunali, sia oggi in stato molto avanzato. Esaminando l'offerta politica "plurale" di parecchie città si può considerare l'indice medio di bipolarismo delle politiche 2013 (58,73%) un obiettivo molto più realistico rispetto al 79,75% delle comunali 2011-2013. Ciò che è ancor più importante, però, è che mai, in tutte le 36 consultazioni amministrative che si sono svolte nelle sette città durante la Seconda Repubblica, l'indice di bipolarismo è sceso sotto il 50%: è rimasto sotto il 60% solo in tre casi (Cagliari e Torino 1994, Roma 2013) e sotto il 70% in altri sei. Alle ultime comunali, è stato pari all'89,86% a Cagliari, all'89,64% a Milano, all'83,96% a Torino, all'80,82% a Bologna, al 72,87% a Roma, al 68,23% a Trieste, al 66,04% a Napoli. Stavolta, in una o più città, si potrebbe finire sotto quota 50%. Se ciò avvenisse in svariate circostanze saremmo di fronte ad un'ulteriore prova che la transizione verso un nuovo sistema dei partiti non solo non è conclusa, ma è più duratura e complessa del previsto.
di Luca Tentoni
di Gabriele D'Ottavio
di Rafael Ruiz *