Il “Rosatellum” alla prova della riduzione del numero di parlamentari
Il prossimo 25 settembre gli elettori saranno chiamati a rinnovare i due rami del Parlamento, concretizzando per la prima volta quanto disposto da due riforme costituzionali: la riduzione del numero dei parlamentari (operata con la legge costituzionale 1/2020) e l’estensione del diritto di voto a tutti i maggiorenni anche per l’elezione del Senato della Repubblica (conseguente alla legge costituzionale 1/2021).
A fronte di tali novelle costituzionali, che possono avere rilevanti ripercussioni sulla composizione e sul funzionamento del Parlamento, nonché su quello della forma di governo, si tornerà a votare con il sistema elettorale definito con la legge 165/2017, il c.d. Rosatellum.
Tale disciplina era stata approvata negli ultimi mesi della XVII Legislatura per far fronte alla complicata situazione normativa delineatasi dopo la reiezione della riforma costituzionale del 2016 e le pronunce della Corte costituzionale sui sistemi elettorali allora vigenti per le due Camere. Infatti, in mancanza dell’intervento legislativo del 2017, i due rami del Parlamento sarebbero stati eletti con due sistemi elettorali decisamente differenti e basati su due leggi entrambe censurate dalla Corte costituzionale: per il Senato, la legge 270/2005 (c.d. Porcellum), dichiarata parzialmente incostituzionale con la sent. 1/2014; per la Camera, la legge 52/2015 (c.d. Italicum), dichiarata parzialmente incostituzionale con la sent. 35/2017.
La legge 165/2017, pertanto, consentiva di tornare al voto con due sistemi elettorali simili per entrambe le Camere e che fossero il frutto delle decisioni del Parlamento, anziché il risultato degli interventi del giudice costituzionale. In tal senso, essa era parsa una soluzione di compromesso destinata a far fronte a una situazione per taluni versi anomala, che avrebbe consentito al Parlamento rinnovato con le elezioni del 2018 di provvedere con i tempi necessari alla definizione di una nuova disciplina elettorale. Ma quest’ultima è rimasta la stessa anche per le elezioni politiche del 2022, in quanto, prima del termine della XVIII Legislatura, il legislatore si è sostanzialmente limitato a ridefinire i collegi alla luce della riduzione del numero dei parlamentari (con la legge 51/2019 e il decreto legislativo 177/2020).
Ma la riduzione del numero dei parlamentari non rappresenta un mero dato numerico, giacché essa può influire sia sul funzionamento del sistema elettorale, sia sul comportamento degli elettori.
Quanto al primo aspetto, la netta e meccanica riduzione dei membri di ciascuna Camera comporterà l’introduzione di fatto nel sistema di elezione dei parlamentari di soglie di sbarramento implicite, probabilmente di gran lunga superiori a quelle contemplate dalla legge elettorale, rendendo più difficile la conquista del seggio e l’accesso al Parlamento anche per forze politiche di dimensioni tutt’altro che irrilevanti. Per di più, tali soglie saranno inevitabilmente diverse per i vari territori, soprattutto al Senato, sia per il ridotto numero di seggi da assegnare complessivamente (solo 196, se si escludono i 4 seggi da assegnare nella Circoscrizione Estero), sia perché tale ramo del Parlamento è eletto a base regionale, con la conseguenza che, nelle Regioni meno popolose, che assegneranno pochi seggi, le soglie implicite potrebbero essere notevolmente alte (anche intorno al 20%).
Ciò potrebbe comportare un aumento dei voti c.d. dispersi, ovverosia dei voti non utilizzati per eleggere un candidato, giacché in alcuni territori il numero di elettori che votano per chi non entra in Parlamento – il candidato o, addirittura, l’intera lista – potrebbe essere particolarmente elevato.
In tal modo, la combinazione tra riduzione dei parlamentari e sistema elettorale potrebbe altresì comportare un ridimensionamento della rappresentanza politica dei territori e di interi settori dell’elettorato, con il rischio di un’ulteriore spinta all’astensionismo, che potrebbe vanificare l’ampliamento della base elettorale per il Senato conseguente all’estensione del voto ai diciottenni.
Gli effetti di tale combinazione potrebbero riverberarsi anche sul comportamento di quanti si recheranno alle urne, i quali potrebbero confermare e rafforzare quella tendenza a votare le liste presentatesi alle elezioni anziché i candidati nei collegi uninominali cui si è già assistito alle elezioni del 2018. Ciò, però, può comportare un ulteriore allentamento del legame tra rappresentati e rappresentanti, giacché la scelta elettorale sarebbe sempre più caratterizzata come voto di opinione e sempre meno come valutazione (e strumento di responsabilità politica nei confronti) dei candidati.
In sintesi, la riduzione del numero di parlamentari e la conferma del c.d. Rosatellum rischiano di avere notevoli ripercussioni sulla rappresentanza politica, con imprevedibili conseguenze sul sistema democratico-rappresentativo, che difficilmente potranno essere positive.
* Professore associato di Diritto costituzionale, Università degli Studi di Foggia.
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