I testimoni dei "passi perduti"
In democrazia, il ruolo della stampa è essenziale. Quello del giornalismo politico e parlamentare lo è, se possibile, ancora di più. Spiegare - da analisti o editorialisti - o raccontare - da cronisti - ciò che avviene nelle stanze del potere è un modo per dare all'opinione pubblica le informazioni necessarie per giudicare i propri rappresentanti nelle istituzioni. Dal resoconto di una banale seduta d'Aula o di Commissione (che talvolta può rivestire un'importanza fondamentale per una categoria di persone interessata al testo che si discute) al "retroscena" (ormai diventato un genere a parte, a volte un po' romanzesco), il giornalismo politico-parlamentare offre al lettore molti strumenti e informazioni utili. Ciò che si è spesso sottovalutato, però, è che gli articoli, così come i libri di memorie dei giornalisti parlamentari di lungo corso, finiscono per diventare materiale per gli storici. Episodi della "quotidianità politica", dei rapporti umani dei personaggi di primo piano, possono spiegare decisioni, reazioni, prese di posizione. Inoltre, persino le "veline" (ciclostilati di 4-5 pagine che tracciavano le linee principali della giornata politica: la più importante era quella di Vittorio Orefice, durante la Prima repubblica) sono reperti da analizzare, non solo per il contenuto, ma per lo stile, per la selezione degli eventi e la trattazione degli argomenti. Sono tutte minuzie, si dirà. Eppure, in più di settanta anni di vita democratica repubblicana, il rapporto fra politici e giornalisti (talvolta conflittuale, talaltra venato da una qualche contiguità) ha prodotto un materiale superiore per volume, ricchezza di informazioni e capacità descrittiva-interpretativa, di quello degli atti e dei resoconti parlamentari ufficiali. Se i testi di Camera e Senato hanno carattere di istituzionalità, quindi raccontano una "storia ufficiale", quelli dei giornalisti politici ne narrano una che talvolta è un po' più soggettiva, ma che è indispensabile allo storico e allo studioso di politica nazionale per ricostruire le dinamiche personali, partitiche, governative. Insomma, i testi del Parlamento sono il "corpo" che noi vediamo, mentre i resoconti, i commenti, persino i retroscena, ci raccontano dei "sentimenti" e dell'"anima" del dibattito politico. Durante la Prima repubblica i "pastoni" (col riassunto della giornata politica) e gli articoli di cronaca parlamentare venivano soppesati come gli editoriali dei quotidiani. Spesso i giornali di partito, per esempio, venivano letti per capire come narravano un fatto, quali aggettivi si usavano, cosa eventualmente si ometteva e quanto rilievo veniva dato ad un tema: in questo modo, si potevano cogliere segnali, anticipare o "afferrare" l'evoluzione del dibattito fra i partiti e fra le correnti. Inoltre, i principali lettori, i più attenti, erano spesso proprio gli "inquilini" del Palazzo e i giornalisti. Di qui l'articolo scritto nel 1959 da Enzo Forcella (allora notista della "Stampa") per "Tempo presente". Si intitolava "Millecinquecento lettori". In questo testo, entrato nella storia del giornalismo italiano, si leggeva: "Un giornalista politico, nel nostro paese, può contare su circa millecinquecento lettori: i ministri e i sottosegretari (tutti), i parlamentari (parte), i dirigenti di partito, i sindacalisti, alti prelati e qualche industriale che vuole mostrarsi informato. Il resto non conta, anche se il giornale vende trecentomila copie. Tutto il sistema è organizzato sul rapporto tra il giornalista politico e quel gruppo di lettori privilegiati; è l'atmosfera delle recite in famiglia, con protagonisti che si conoscono fin dall'infanzia, si offrono a vicenda battute, parlano una lingua allusiva e, anche quando si detestano, si vogliono bene". In questa critica sferzante di Forcella si ritrova la denuncia di alcuni vecchi vizi autoreferenziali, non del tutto scomparsi nell'era della "disintermediazione" (oggi i legami e gli strumenti comunicativi e relazionali sono diversi). Alcuni generi del giornalismo parlamentare e politico sono scomparsi o si sono evoluti (il "pastone", per esempio), ma attualmente - con le telecamere in Parlamento, le "maratone" con gli ospiti e i politici che talvolta si scambiano battute e si danno del "lei" solo per convenzione, mentre in privato usano darsi del "tu" - la ricerca dell'informazione nel Palazzo segue più o meno gli stessi canali di un tempo. Si pone così l'esigenza di conoscersi, mantenendo tuttavia la giusta distanza per evitare che la sfera dell'azione politica e quella dell'informazione si sovrappongano: un equilibrio che è sempre stato difficile da trovare, ma che era e che è possibile raggiungere. Nel suo libro "Passi perduti - Storie dal Transatlantico", Giorgio Giovannetti intervista quindici grandi giornalisti (e pubblica un testo inedito di Jader Jacobelli, uno dei padri delle "tribune politiche" televisive), dall'ex direttore dell'Ansa Sergio Lepri ad Arrigo Levi, da Guido Quaranta a Stefano Folli, da Giorgio Frasca Polara a Massimo Franco. Tutti "storici dell'istante", come Camus definiva i giornalisti. il volume raccoglie testimonianze sui vari periodi della storia repubblicana, narrando da un lato le vicende pubbliche e dall'altro descrivendo l'evoluzione del giornalismo politico-parlamentare. Come spiega Giovannetti, che idealmente ci fa entrare nel Transatlantico inaugurato un secolo fa, dopo la ristrutturazione compiuta da architetti e artisti di fama come Basile, Sartorio e Calandra, il nome di "galleria dei passi perduti" dato al salone sul quale si affaccia l'Aula della Camera dei deputati è stato mutuato dai riti iniziatici della Massoneria. I "passi perduti" sono quelli di chi sta per accedere all'Aula (nella quale possono entrare solo i parlamentari e una parte del personale della Camera, ma non i giornalisti o altre persone). Come narrava Mario Pacelli, "in questa costruzione, ricca di simboli iniziatici, l'Aula era il tempio, dove domina la luce, il corridoio che immette in essa era il luogo dove il profano attende nervoso, passeggiando, il momento dell'ingresso; i suoi passi non portano in nessun luogo: sono dunque passi perduti". Sono pochi a saperlo, compresa la gran parte delle migliaia di deputati e giornalisti che nei decenni hanno affollato il Transatlantico (così detto perché richiama lo stile e l'arredamento delle grandi navi del tempo). In effetti, di misteri la vita politica italiana è ricca. Il giornalismo parlamentare ha cercato di svelarli, di raccontarli, anche se a qualcuno leggere le proprie considerazioni fatte "in privato" a un giornalista o a un collega ha dato fastidio. In tanti anni, alla Camera sono volati più schiaffi che baci, del resto, come quando Fanfani affrontò nella "buvette" Vittorio Gorresio, accusato di non aver scritto la verità sul politico aretino che in quei giorni (alla fine del 1971, in piena elezione presidenziale) cercava invano di conquistare il Quirinale: "i tuoi articoli li tagliano i tuoi padroni". Il giorno seguente, Gorresio scrisse che il linguaggio di Fanfani non si addiceva ad un presidente, "anche solo del Senato". L'incidente fu un piccolo contributo all'ennesima sconfitta del leader democristiano (resa più beffarda dal fatto che, dovendo partecipare col presidente della Camera allo spoglio delle schede, il povero Fanfani dovette leggere anche quella sulla quale era scritto "nano maledetto, non sarai mai eletto"). La stampa parlamentare ha raccontato questo e altri episodi. La concorrenza fra testate di diverso orientamento ha favorito la diffusione di notizie che una stampa asservita e compatta non avrebbe mai diffuso. Perciò non possiamo che convenire sul giudizio di Giovannetti: "la stampa parlamentare ha rappresentato e rappresenta un essenziale presidio per la democrazia. È un tramite tra potere e cittadini. Spiega l'azione dei politici, racconta i confronti, denuncia gli eccessi e le malefatte. Ma è anche un testimone privilegiato della storia istituzionale del Paese" (con i suoi pregi e i suoi difetti, aggiungiamo noi). Nel volume si leggono storie che sembrano e talvolta sono lontane, ma danno la sensazione di come si possa, stando nel Palazzo e a contatto con i politici, raccontare una storia non ufficiale del Paese, non per questo meno vera. Per quanto la politica e l'informazione si possano evolvere, e per quanto si sia dovuto adattare ai tempi un giornalismo molto particolare come quello che si occupa della vita dei partiti, dei governi e dei leader, si può affermare che nulla è ancora riuscito a sostituirlo. I tempi cambiano, le formule politiche vivono le fasi dell'ascesa e del declino, ma, come disse un famoso giornalista ad un ministro che lo minacciava (ai tempi della Prima Repubblica), riprendendo la frase di James Reston, (“New York Times”) a John Fitzgerald Kennedy: «Quando voi siete arrivati, noi c’eravamo; quando voi ve ne andrete, noi ci saremo ancora». Ecco perché, a raccontare i "passi perduti" della politica italiana, al di là delle innovazioni e della voglia di spazzare via la stampa non compiacente o di “rottamare” cronisti e analisti, ci saranno ancora a lungo tanti "storici del presente".
di Luca Tentoni
di Francesco Provinciali *