I difetti del progetto di riforma costituzionale sul premierato
Nelle scorse settimane il Senato della repubblica ha approvato il disegno di legge costituzionale sul premierato ad elezione diretta. Com’è noto, si tratta solo della prima lettura e l’iter per un’approvazione definitiva è ancora lungo. Pertanto, può essere utile formulare qualche osservazione sul testo approvato che è ancora lontano dall’essere definitivo.
In premessa occorre ribadire che la intenzione che muove i promotori è senza dubbio condivisibile. La instabilità governativa che caratterizza il nostro paese (abbiamo avuto sessantotto governi in settantasette anni di repubblica) non fa bene né all’economia né alla credibilità internazionale dell’Italia. Perciò avere dei governi stabili ed efficaci è un obiettivo che merita di essere perseguito.
Anche la formula costituzionale che si è scelta, il cosiddetto premierato, non va rifiutata in modo preconcetto ma, in linea di principio, potrebbe essere valida se attuata in modo razionale come una forma di governo neo-parlamentare. D’altronde, per una fase non breve della cosiddetta seconda repubblica, il nostro sistema politico si stava indirizzando verso una sorta di premierato di fatto. Più volte (1994, 1996, 2001, 2006, 2008) i leader del centro destra e del centro sinistra sono stati designati come presidenti del consiglio dopo aver vinto le elezioni. Ed è un peccato che questo orientamento spontaneo dell’opinione non sia stato accompagnato da qualche modifica costituzionale condivisa in grado consolidarlo definitivamente.
Rispetto alla bozza precedente c’è stato qualche miglioramento. Si è cambiata la cosiddetta clausola antiribaltone, che esponeva il premier a imboscate parlamentari ad ogni voto di fiducia. Sono stati anche precisati i poteri del Presidente della repubblica eliminando la controfirma governativa su alcuni atti che per prassi sono da sempre appannaggio del Quirinale.
Restano però dei difetti che rischiano di essere esiziali. Il testo approvato prevede l’elezione diretta del premier ma non dice come essa venga disciplinata. Non viene indicata la maggioranza necessaria, se assoluta o relativa, non si prevede una soglia minima di suffragi necessari (45 o 40 %), non si parla di un eventuale ballottaggio. Tutto viene rimandato alla legge elettorale. Un rinvio che appare una scappatoia rispetto a dissensi interni alla maggioranza che non si sono potuti risolvere. E questo significa che la operatività della riforma costituzionale dipende dalla futura legge elettorale, cioè da una legge ordinaria. Ma questa, soprattutto se congegnata con un premio di maggioranza (perché questo pare l’orientamento prevalente), potrebbe essere dichiarata incostituzionale dalla Corte. Così una riforma costituzionale approvata con l’iter previsto, e magari confermata dal voto referendario, potrebbe essere inficiata da una sentenza della corte creando un vero e proprio cortocircuito istituzionale.
Inoltre, la riforma, che si vuole mirata e chirurgica, non affronta alcuni problemi obiettivi che richiederebbero altri aggiustamenti costituzionali. Con il nostro bicameralismo paritario è sempre possibile che le maggioranze delle due camere siano diverse quale che sia la legge elettorale. C’è poi il problema del voto estero. Oggi i cinque milioni di elettori esteri (quasi il 10% dell’elettorato) hanno una sorta di diritto di tribuna, eleggono infatti qualcosa come il 2% di parlamentari. Con il voto diretto per il premier potrebbero risultare decisivi configurando uno scenario in cui la politica italiana sarebbe determinata da persone che non ci abitano. Per ovviare a questi altri, non secondari, inconvenienti sono necessari degli ulteriori emendamenti che allarghino il raggio della riforma costituzionale.
Come si vede da questa succinta disamina, nel testo finora approvato i difetti sono ancora molti e decisivi, per cui è auspicabile che nel prosieguo dell’iter della riforma, magari con una convergenza anche di parte delle opposizioni, si metta mano ad aggiustamenti davvero migliorativi.
* Ordinario di storia delle dottrine politiche - Università di Napoli
di Paolo Pombeni
di Maurizio Griffo *