I concetti meno noti dell’approccio delle capacità
L’economista e filosofo indiano Amartya Sen ha introdotto nella teoria economico-politica contemporanea il Capabilities Approach all’inizio degli anni Ottanta, con due opere, Equality of What (1980) e Commodities and Capabilities (1985), proposte quale critica al filone economico liberista propugnato dalla Scuola economica di Chicago e dai suoi due principali economisti di riferimento, ovverosia Milton Friedman e George Stigler: se per Friedman e Stigler, infatti, una corretta gestione dell’apparato economico da parte delle istituzioni dovrebbe essere caratterizzata da un limitato intervento statale al fine di preservare il più possibile il carattere di autonomo equilibrio che contraddistingue il libero mercato (come nel laissez-faire di smithiana memoria), gli autori della scuola afferente alla Teoria della scelta sociale introdotta da Kenneth Arrow, tra cui lo stesso Amartya Sen, spingono per un intervento diretto delle istituzioni (principalmente nei capitoli fondamentali di sanità ed educazione) al fine di promuovere proattivamente la qualità di vita dell’intera cittadinanza.
In questo contesto, le Capabilities (che in Italia il lessico economico preferisce tradurre con “capacitazioni”, a fronte del pensiero teorico-politico che le identifica piuttosto come “capacità” tout court) sono concepite da Sen alla stregua di libertà di scegliere con ragione una vita di valore (Sen, Lo sviluppo è libertà, 1999, p. 18) con il sostegno che deve essere assicurato agli individui da parte delle politiche pubbliche e da un intervento istituzionale che sottragga quote privatistiche allo sviluppo al fine di correggere nel senso della giustizia politica le modalità effettive di vita della popolazione degli Stati. Lo spazio che Sen identifica con la “libertà individuale”, a dire il vero, non è contraddistinto soltanto dalla nozione seniana di Capabilities, ma anche dal concetto di Functionings (che in traduzione italiana generalmente sono conosciuti come “funzionamenti”, o come “processi funzionali”, qualora si intenda porre l’accento sulla processualità di conversione delle risorse iniziali in libertà effettive di condurre una vita che si giudichi di valore): nella prospettiva di Sen, infatti, i funzionamenti riguardano tutto ciò che gli individui fanno e sono. I Funcionings riguardano insomma quegli stati e quelle attività che caratterizzano la condizione esistenziale dell’uomo, vuoi ad uno stadio relativamente più “semplice” come nel caso di sentirsi al sicuro o dell’essere in salute, vuoi ad uno stadio marcatamente più complesso quale il dirsi felici o l’avere fiducia in se stessi. Nel suo libro Inequality Reexamined (1992) Sen sottolinea come il concetto di funzionamenti rimandi direttamente alle libertà attuali di cui l’individuo goda fattivamente, proponendo i Functionings quali quegli aspetti fondanti e costitutivi della vita umana.
La teoria etico-politica dell’approccio delle capacità si concentra primariamente sulle teorie liberali inerenti la giustizia politica e l’uguaglianza e – per quanto essa miri alla promozione del benessere individuale – non può essere propriamente raggruppata sotto l’egida delle teorie politiche welfariste, ovverosia di quelle teorie che individuano come principale obiettivo dell’azione politica il benessere individuale stesso inteso principalmente quale stato mentale soggettivo, felicità o soddisfazione delle preferenze. Tanto la felicità quanto le preferenze individuali, infatti, hanno la tendenza in qualche modo ad adeguarsi alle costrizioni esterne: in condizioni di povertà economica non è raro assistere ad un adattamento al ribasso delle preferenze. Per un disoccupato, ad esempio, non sarà raro accettare mansioni notevolmente al di sotto dell’asticella delle proprie aspettative, e gli esempi possono essere ancora più copiosi. Sen introduce in questo caso il concetto di “preferenze adattive”: in un certo senso, infatti, le preferenze individuali si adattano alle restrizioni dell’ambiente circostante in cui si esplica la personalità individuale, costringendo gli individui a fare i conti con il proprio corredo di risorse e smussando i propri desiderata.
Pur proponendo una concezione di giustizia dal carattere cosiddetto comparativo, ovverosia capace di confrontare costantemente le realizzazioni pratiche del sistema dei diritti individuali di marca liberale con il corredo dei diritti umani concepito in via teorica, Sen non è certamente uno studioso positivista e neppure consequenzialista. Insieme al collega filosofo dell’Università di Cambridge Bernard Williams, infatti, Sen ha dedicato all’analisi di questi due filoni del pensiero utilitarista britannico – ovverosia proprio il positivismo giuridico e il consequenzialismo quale critica al giusnaturalismo moderno – la curatela del volume Utilitarismo e oltre (ed. it. 1982). Nell’interpretazione dei due autori, in particolare, il concetto di “diritti umani” non viene a perdere mai la propria valenza, neppure in assenza di statuizione scritta, mentre la teoria politica deve sempre dimostrarsi attenta a ravvisare un proficuo equilibrio tra valenza intrinseca e valenza funzionale del diritto, capace di rendere concretamente esigibile una conversione fruttuosa delle risorse iniziali in capacità concrete. Sen, pertanto, rigetta la visione utilitarista del diritto, ritenendo che, pur essendo necessario battersi incessantemente affinché il portato dei diritti fondamentali non rimanga lettera morta per l’agenda politica, allo stesso tempo non si potrà mai prescindere dalle obbligazioni e dal radicamento morali propri dei diritti dell’uomo concepiti in termini intrinseci.
* Mattia Baglieri, storico delle dottrine politiche di formazione, lavora per l’INVALSI di Roma (Istituto Nazionale per la Valutazione del Sistema Educativo di Istruzione e Formazione)
di Luca Tentoni
di Francesco Provinciali *
di Mattia Baglieri *