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I ballottaggi nei comuni capoluogo

Luca Tentoni - 28.06.2017
Amministrative 25 giugno 2017

Il secondo turno delle elezioni comunali del 2017 ha accentuato talune tendenze già presenti nel primo. Per quanto riguarda i candidati sindaci nei ventuno capoluoghi (su 22 ballottaggi, infatti, uno è stato inutile - quello di Trapani - perchè si è svolto con un solo candidato che non ha raggiunto il quorum) già la "griglia di partenza" del primo turno offriva indicazioni interessanti: in quattordici città erano al comando esponenti di centrodestra e Lega, contro cinque del centrosinistra e due civici (Parma, Belluno). La zona bianca del Nord confermava il predominio della coalizione Salvini-Berlusconi (7 primi posti contro 2 del centrosinistra e uno delle civiche), mentre la zona rossa era più equilibrata (2 centrosinistra, 2 centrodestra, 1 civica); nel Mezzogiorno allargato, infine, ben cinque primi classificati su sei appartenevano al centrodestra, contro uno del centrosinistra. Il risultato finale è stato il seguente: 15 capoluoghi al centrodestra (più uno ottenuto già l'11 giugno), 4 al centrosinistra (più due del primo turno), 2 ai "civici". A prima vista, sembrerebbe esserci stato un solo cambio di posizione fra primo e secondo, in una città, invece è andata diversamente: mentre nel 2012-'14 solo in tre casi chi si era classificato al secondo posto aveva vinto il ballottaggio (Belluno, Parma, Padova), nel 2017 ciò è accaduto in ben otto casi (Alessandria, Monza, Pistoia, L'Aquila, Lodi, Padova, Lecce, Taranto). In cinque città il "sorpasso" ha favorito il candidato del centrodestra (Alessandria, Monza, Lodi, Pistoia, L'Aquila) mentre in tre la rimonta è riuscita al candidato di centrosinistra (Padova, Lecce, Taranto: tutti casi nei quali al ballottaggio si sono aggiunte forze politiche non alleate al primo turno). Mentre nel complesso, nel Nord bianco la situazione è rimasta invariata (7 sindaci al centrodestra, 2 al centrosinistra, uno alle civiche: esattamente lo stesso rapporto del primo turno, ma con molte città che hanno visto rimonte dei secondi classificati, sia pure "a somma zero"), nella Zona rossa il centrodestra si è aggiudicato quattro comuni (era al primo posto in due), il civico Pizzarotti a Parma si è confermato (partendo in prima fila l'11 giugno) mentre il centrosinistra non ha conquistato neanche una città. Nel Mezzogiorno allargato, invece, il 5-1 per il centrodestra del primo turno è diventato 4-2 al secondo. Non è difficile comprendere quanto sia accaduto. Già l'11 giugno si era osservato che nei capoluoghi il voto alle liste di centrodestra era stato pari al 33,7% (record rispetto a politiche 2013, europee 2014, regionali 2012-'15; +4,7% sulle comunali 2012-'14) mentre centrosinistra e sinistra avevano avuto il 38,1%. In pratica, il divario fra i due "poli della Seconda Repubblica" (pur sempre favorevole all'ex Unione) era passato dall'11,6% delle comunali precedenti al 4,4%. Inoltre, l'indice di mutamento elettorale era stato pari, nel passaggio fra le comunali 2017 e le precedenti, al 19% (uno su cinque aveva cambiato voto, insomma). Segno che era in atto un riequilibrio delle forze in campo e che il secondo turno avrebbe deciso la partita con un po' più d'incertezza (per la difficoltà di comprendere dove sarebbero andati i voti degli elettori dei candidati esclusi, in particolare quelli di M5S e civiche). Inoltre, anche se si trattava di un'elezione locale, il dato delle liste dell'11 giugno delineava un rapporto di forza fra il "fronte del sì" e il "fronte del no" al referendum costituzionale del 4 dicembre 2016 quasi immutato: tolti i voti dei "non allineati" (i civici non di area) i partiti del sì avevano avuto alle comunali nei capoluoghi il 39,1%, contro il 39,9% del 4 dicembre (40% nazionale). Dopo il primo turno si era parlato del ritorno del bipolarismo, anche se i dati non sono chiari nel confermare questa ipotesi (che varrebbe, comunque, solo per questo turno amministrativo), perchè i primi due candidati classificati nei 25 capoluoghi hanno avuto nel 2017 il 68,74% dei voti, contro il 68,68% del 2012-'14. Sul piano territoriale, invece, il Nord bianco ha visto un netto calo dei consensi ai primi due (61,38% contro 68,75%), mentre nella zona rossa (68,3% contro 63,41%) e nel Mezzogiorno allargato (75,75% contro 72,99%) la tendenza è stata effettivamente un po' più bipolarizzante. Nel 2012-'14 i comuni con i due candidati complessivamente sotto il 50% dei voti erano due (così come nel 2017); quelli fra il 50 e il 60% tre (oggi quattro); quelli fra il 60 e il 70% ben dodici (ora solo sette); quelli fra il 70% e l'80% quattro (diventati otto nel 2017); infine, quelli oltre l'80% sono stati quattro nel 2012-'14 e altrettanti l'11 giugno 2017. La "bipolarizzazione", dunque, si nota nel passaggio di comuni dalla fascia 60-70% a quella superiore (70-80%). Tuttavia, il turno elettorale amministrativo si è giocato in gran parte al ballottaggio (in 19 comuni nel 2012-'14; in 22 nel 2017), dunque è stata determinante la capacità di ciascun candidato di conquistare voti aggiuntivi fra l'11 e il 25 giugno. Alle scorse comunali solo cinque candidati su 38 (13,2%) hanno perso voti rispetto al turno precedente; nel 2017 sono stati sei (quattro del centrosinistra, due del centrodestra) su 42 (14,3%). È dunque fisiologico che un candidato su sette non solo non aumenti i propri voti al secondo turno, ma ne perda. Come accennavamo, la situazione di partenza, ai ballottaggi nei capoluoghi, era più incerta che alle precedenti comunali: il divario medio fra primo e secondo classificato, che nel 2012-'14 era stato di 22,2 punti percentuali nei comuni chiamati al ballottaggio (24,1% nel complesso; 2017: 10,1%), era sceso al 7,6%. In dettaglio, era passato nella Zona bianca del Nord dal 12% al 10,7%; nella Zona rossa, dal 29% al 5,2%; nel Mezzogiorno allargato, dal 26,3% al 13,2%. Tutto - o molto - è diventato contendibile, soprattutto nella Zona rossa, che è stata in effetti quella dove il centrosinistra ha ceduto nei capoluoghi. Alle comunali del 2012-'14, i candidati sindaci arrivati al ballottaggio erano riusciti a rimobilitare una quota di voti pari al 52,08% di quelli degli esclusi; nel 2017 la percentuale è scesa al 40,95%. Mentre nel Nord bianco la quota di "rimobilitati" è rimasta costante (39,8% contro il 41,1%), nella Zona rossa è salita dal 36,1% al 60% (a detrimento del centrosinistra) e nel Mezzogiorno è invece precipitata all'11,5% (in questa zona, però, a Lecce e Taranto, i candidati di centrosinistra hanno fatto molto meglio dei loro avversari; l'opposto di quanto è accaduto a L'Aquila e Catanzaro). Nel complesso, già al primo turno i candidati di centrosinistra si erano dimostrati generalmente meno brillanti che alle elezioni comunali precedenti, mentre nel centrodestra il rendimento era stato migliore rispetto al passato. In occasione dei ballottaggi, dovendo rimontare in moltissimi capoluoghi, i candidati di centrosinistra avrebbero dovuto conquistare parecchi suffragi in più rispetto ai loro avversari. È successo a Padova, Lecce e Taranto, ma non altrove. O meglio, il numero di voti aggiuntivi ottenuti da centrosinistra e centrodestra nel Nord bianco è quasi identico, mentre nella Zona rossa quello della coalizione Salvini-Berlusconi è doppio rispetto a quella guidata dal Pd. Discorso ancora diverso al Sud, dove nel complesso il recupero di voti dai "terzi esclusi" è numericamente modesto, ma premia - nell'insieme - un po' più il centrosinistra che il centrodestra. Per concludere, una notazione sull'importanza di mobilitare i propri elettori e rimobilitare quelli dei candidati esclusi: le città capoluogo col maggior tasso di "rimobilitazione" sono state Genova, La Spezia, Lodi, Pistoia, Lucca e Padova. Le prime quattro sono andate al centrodestra (a Lodi, in rimonta), la quinta è rimasta al centrosinistra (i due candidati sono arrivati quasi alla pari, divisi da 360 voti), la sesta è passata al centrosinistra "allargato" (in rimonta). Un'elezione come quella comunale richiede più elementi favorevoli: le liste, i candidati, gli apparentamenti giusti fra primo e secondo turno, la capacità di mobilitazione del proprio elettorato e di rimobilitazione di quello altrui che può essere conquistato. Tutti elementi che alle prossime "politiche" non avremo, perchè la competizione nazionale è completamente differente (anche per le regole elettorali) da quella locale.