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27 marzo 2024
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Guerra in Europa?

Nicola Melloni * - 14.02.2015
Arena di Donbass

Venti di guerra spirano sull’Europa. Anzi, una guerra già c’è, nell’Est dell’Ucraina e tutto il continente ne è ormai parte attiva, quantomeno con le sanzioni che sono state imposte contro la Russia. Il rischio ora è di una escalation dalle imprevedibili conseguenze. Per evitarlo bisognerebbe cercare di capire cosa davvero ci sia in ballo.

Esistono dei fatti: il cambio di governo a Kiev; l’illegale annessione della Crimea; la guerra civile nel Donbass, cospicuamente foraggiata da Mosca. Questi fatti, però, andrebbero interpretati.  Da una parte si dice che sia tutta colpa della Russia, la cui volontà imperiale la porta in linea di collisione con il diritto internazionale in generale e con l’Occidente in particolare, e la cui struttura autocratica ed autoritaria la rende ostile a tutti i tentativi di democratizzare i paesi confinanti. L’unica risposta a questa Russia dovrebbe dunque essere l’intransigenza, così almeno sembrano chiedere Obama e gran parte dell’Europa Orientale.

Esiste però una lettura alternativa, pur basata su quegli stessi fatti di cui sopra. Ed è una lettura che prende in considerazione oltre un ventennio di politiche occidentali nei confronti della Russia, e più in generale di gestione dei rapporti internazionali da parte, soprattutto, degli Stati Uniti.

Per anni l’Occidente ha considerato la Russia come uno Stato irrilevante, ignorandone le richieste, gli interessi, senza mai cercare una cooperazione duratura e proficua. Ci si è, anzi, mossi in direzione opposta: prima l’espansione della Nato, violando gli accordi presi all’indomani della caduta del Muro; poi, davanti ad una Russia che cercava di riaffermare i propri interessi, il supporto a governi anti-russi ed il dispiegamento del sistema missilistico ai suoi confini. Il tutto accompagnato da un crescente attivismo nella Nato dei membri della “nuova Europa” che hanno spinto sempre più per una politica di confronto invece che di dialogo con Mosca.

Il cambio di governo a Kiev – che in altre circostanze si sarebbe definito “golpe” – è stato l’ultimo tassello di questa strategia, e la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Nuovamente, le mosse dell’Occidente, sembrano aver puntato al vae victis: sostegno alle manifestazioni di piazza contro una decisione legittima di un governo regolarmente eletto; successivo sostegno senza condizioni ad un nuovo governo frutto di una insurrezione armata, ed all’immediatamente successiva repressione armata nell’Est del paese;  ed infine la creazione di quello che tanto somiglia ad un governo fantoccio a Kiev con ministeri chiave assegnati a a cittadini americani, georgiani e lituani, le cui uniche credenziali sono una sbandierata russo-fobia. Senza dimenticare le sanzioni e le manovre politiche dietro al crollo del prezzo del petrolio. Non proprio un invito alla cooperazione, anzi. Si è nuovamente puntato sulla creazione di un nuovo vulnus, con la minaccia di creare un avamposto militare a poche centinaia di km da Mosca. E si è scelto di mettere la Russia all’angolo, lasciando a Putin ben poche mosse disponibili: l’umiliante capitolazione o la rabbiosa risposta.

Si tratta di una politica sbagliata, aspramente criticata anche in vari settori dell’establishment americano, da Kissinger a Mearsheimer. L’interventismo occidentale, dal Medio Oriente all’Est Europa, sembra in realtà destabilizzare non solo e non tanto il nemico, quanto soprattutto il sistema internazionale in toto. E’ un modo di fare politica estera rischioso, e foriero di conseguenze; si sceglie di non cercare un equilibrio, una mediazione, ma si ricorre alla politica del “all in”, del rischia tutto, senza per altro, avere un disegno di sistema, come già ampiamente dimostrato in Libia, Iraq, Siria. La risoluzione della crisi ucraina passa dunque attraverso un nuovo approccio: basta con l’isteria anti-russa, esemplificata dall’assurda accusa dell’ex segretario generale della Nato Rasmussen secondo cui Mosca vorrebbe invadere i paesi baltici; basta con l’oltranzismo. E finalmente un negoziato che tenga in considerazione gli interessi di tutte le parti in causa: Ucraina Occidentale ed Orientale, USA, Russia, ed i vari paesi europei, tra loro più divisi che mai.   

 

 

 

 

DPhil. Visiting Fellow, Munk School of Global Affairs. University of Toronto