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24 aprile 2024
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Giustizia civile

Stefano Zan * - 10.02.2021
Lentezza giustizia

Molti studi sostengono che una giustizia civile funzionante favorirebbe una crescita del pil di circa 1,5 punti nonché un sensibile aumento degli investimenti stranieri in Italia. Come noto si  tratta di questione antichissima che  ad oggi non ha trovato soluzioni soddisfacenti nonostante i numerosi interventi che sono stati fatti negli anni passati.

Le cause strutturali della lentezza della giustizia civile sono sostanzialmente due:

a)      un eccesso di conflitti, che non ha eguali in Europa, anche banali, viene portato in tribunale per essere risolto con una sentenza anche quando poterebbero essere sufficienti forme più semplici e rapide di risoluzione della conflittualità

b)      L’organizzazione del lavoro dei  giudici e dei tribunali fatica a gestire in modo efficiente un gran numero di cause anche con l’utilizzo di tecnologie telematiche che sono state introdotte negli ultimi 20 anni.

A questo vanno però aggiunte due evidenze empiriche:

a)      I numerosi cambiamenti del quadro normativo, leggi riforme del codice di procedura, non hanno mai risolto alcun problema in termini di tempi complessivi della giustizia.

b)      Il processo civile telematico, che pure ha semplificato una serie di procedure soprattutto per quanto riguarda l’uso del cartaceo, non è stato in alcun modo risolutivo

c)      A normativa vigente ci sono in giro per l’Italia casi di eccellenza nella gestione dei singoli riti (lavoro, famiglia, fallimenti, ecc.)

Che il problema sia di tipo principalmente organizzativo, cioè di come si organizza e gestisce il processo e il tribunale è convinzione ormai largamente condivisa e le pratiche di eccellenza  qua e là diffuse lo stanno a dimostrare.

La domanda vera alla quale nessuno ad oggi ha dato risposte soddisfacenti è perché tali pratiche eccellenti non diventano prassi normali su tutto il territorio nazionale ma riguardano solo alcuni riti in alcuni uffici giudiziari. Dal punto di vista teorico la risposta è assai complessa e si riferisce al fatto che l’organizzazione della giustizia è un loosely coupled system e in tali sistemi i processi di imitazione e diffusioni delle procedure migliori sono difficili e farraginosi. Dal punto di vista pratico si tratta di operare contemporaneamente su alcuni piani tra di loro interconnessi.

Intanto bisogna ridurre il numero delle cause che entra in tribunale. Esistono e possono essere diffuse forme alternative di  risoluzione dei conflitti che si svolgono al di fuori del tribunale.

In secondo luogo è opportuno ipotizzare meccanismi premiali che, in qualsiasi momento dell’iter della causa, favoriscano la conciliazione tra le parti.

In terzo luogo occorre prendere di petto le prassi migliori, analizzarle a fondo e farle divenire parte essenziale del processo di formazione dei magistrati. Le cosiddette pratiche migliori altro non sono che prassi comportamentali che consistono nel gestire in modo diverso dal solito ogni singolo processo. L’evidenza empirica ci dice che sono diffuse su tutto il territorio nazionale; che riguardano tutti i riti; che danno risultati evidenti. Ma ci dice anche che nessun tribunale ha solo buone prassi, che la loro diffusione è limitata e a macchia di leopardo e che non si è sviluppato e non si sviluppa il processo di imitazione nemmeno di fronte a risultati eclatanti.

In realtà non c’è nulla da inventare. Basta prendere atto che:

-          Le riforme che si limitano a mettere mano al codice di procedura non portano risultati

-          L’utilizzo delle tecnologie in assenza di un radicale cambiamento organizzativo portano risultati assai limitati

-          Un aumento degli organici a parità di assetti organizzativi è destinato ad essere riassorbito in pochi mesi nelle prassi convenzionali e inefficaci

In realtà ci vuole, cosa che non è mai stata fatta e che potrebbe essere realizzata in occasione del Recovery Plan una radicale piano di riorganizzazione  degli uffici giudiziari che punti in primo luogo a mettere nelle condizioni il singolo giudice di gestire al meglio i processi che gli sono affidati secondo le metodologie che in qualche parte d’Italia si sono dimostrate efficaci. Un piano nazionale che si avvalga di quelle competenze organizzative e manageriali che in questi anni almeno in parte si sono sviluppate sia all’interno che all’esterno della magistratura e che abbia un respiro di tre-quattro anni per portare a casa risultati concreti e stabili.

 

 

 

 

* E' stato docente universitario di Teoria delle organizzazioni. Il suo blog è ww.stefanozan.it