Ultimo Aggiornamento:
11 dicembre 2024
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Ghigliottina per le donne nel “governo del cambiamento”?

Raffaella Gherardi * - 02.06.2018
Contratto di cambiamento

Mentre scrivo non è ancora chiaro se  lo sbandierato e celeberrimo Contratto per il governo del cambiamento del duo Di Maio-Salvini (in ordine alfabetico) diventerà nei fatti reale piattaforma del governo della presente legislatura o invece andremo in tempi brevi di nuovo al voto e nel segno di un governo “altro” rispetto a quello i cui obiettivi vengono  delineati nel documento di cui sopra.

Devo subito specificare che la versione del programma suddetto, suddivisa in trenta paragrafi, è quella  che ho trovato oggi (31 maggio) on line: dati i tempi altalenanti  che corrono,  chi sa mai che qualcosa non si aggiunga o non cambi ancora sulle montagne russe in cui i protagonisti del cambiamento ci conducono ogni giorno. Certo la parola “cambiamento” rappresenta il grido di battaglia/panacea di tutti i mali intorno al quale ci si propone di rilegittimare la politica e dare nuova linfa alla democrazia: “Vogliamo rafforzare la fiducia nella nostra democrazia – affermano in apertura i firmatari del Contratto - e nelle istituzioni dello Stato.”

Sarebbe facile commentare che se è vero  l’antico adagio secondo il quale“il bel giorno si vede dal mattino”, non abbiamo molto da rallegrarci noi, cittadine e cittadini italiani, quanto  al rafforzamento, dopo l’ultima tornata elettorale, della nostra fiducia democratica e istituzionale, in forza dei comportamenti quotidiani di leader preoccupati solo di twittare e di rivolgersi al popolo di face book e dei loro tifosi (magari dopo essere appena usciti dai colloqui con il Presidente della Repubblica ed aver anche dichiarato, due minuti prima, di voler mantenere riservatezza per il dovuto rispetto alla più alta carica istituzionale), e che dimostrano nei fatti di non conoscere e/o voler a se stessi applicare le regole poste dalla Costituzione, quale garanzia primaria contro ogni forma di dispotismo, anche quello pericolosissimo delle maggioranze che potrebbe annidarsi nel seno stesso della democrazia.

Ma al di là di queste considerazioni e preoccupazioni a carattere generale a proposito dell’odierno significato del concetto di “democrazia”, spesso confusa con forme di plebiscitarismo in salsa nostrana, ho accennato  sopra alle cittadine e ai cittadini italiani per richiamare la loro attenzione (e particolarmente quella delle cittadine) su una questione che il Contratto non ritiene opportuno  portare alla ribalta: il ruolo della donna nella società e nella politica contemporanea. Non è questione questa degna di assurgere ai lidi del tanto sbandierato cambiamento? Alcune voci di associazioni di donne e di esponenti della società civile femminile hanno da varie parti messo in evidenza questa specie di salto nel passato da parte di chi ha steso il Contratto, dove le donne  vi compaiono  fra anziani e periferie e tutt’al più nel ruolo di madri. “Occorre introdurre politiche efficaci per la famiglia, – si legge al paragrafo 18, significativamente intitolato Politiche per la famiglia e natalità  – per consentire alle donne di conciliare i tempi della famiglia con quelli del lavoro anche attraverso servizi e sostegni reddituali adeguati.” E ancora, leggere per credere: “Inoltre è necessario prevedere: l’innalzamento della indennità di maternità, un premio economico a maternità conclusa per le donne che rientrano al lavoro e sgravi contributivi per le imprese che mantengono al lavoro le madri dopo la nascita dei figli.”

Ogni commento è inutile a proposito dell’odore retrivo di muffa addirittura pre-moderna delle affermazioni appena riportate dal Contratto del cambiamento; eppure almeno un interrogativo va posto con forza ai nostri  illuminati rappresentanti del nuovo che avanza: ma come? Anche senza voler uscire dal concetto classico di famiglia, non avevamo da tempo ottenuto nel nostro paese il riconoscimento del ruolo genitoriale anche per i padri? Forse che i cittadini a pieno titolo di cui tanto vi riempite la bocca sono in realtà  i cittadini maschi? E non rispondete, per favore, che ci sono donne fra gli eletti nelle vostre liste e che, magari domani, ci saranno donne/Ministro (uso scientemente il termine al maschile, perché non è certo solo  questione di linguaggio di genere) nel vostro Governo. Quel che è tragico, per le cittadine e anche  per i cittadini del nostro paese, è che ancora oggi, in un documento che voi ritenete alle origini di una nuova fase storica, della Terza Repubblica o quant’altro, espressioni come quelle sopra richiamate vegano sentite da voi come “normali”, e perdippiù nell’anno del settantesimo anniversario della Costituzione repubblicana e della Dichiarazione universale dei diritti umani, documenti entrambi fondativi in Italia e nel mondo del riconoscimento della parità di diritti fra gli uomini e le donne.

Quasi duecentotrenta anni fa la Rivoluzione francese cominciava con la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino (1789), ma per averla voluta pensare anche al femminile e aver scritto la Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina (1791) Olympe De Gouges venne mandata al patibolo  dai più “puri” rivoluzionari del tempo, dai giacobini, coloro che volevano spazzare via il passato. L’accusa era proprio quella di aver voluto lei, Olympe, pensandosi uguale agli uomini,  negare il suo status “naturale” di donna (cioè di madre, moglie ecc… ecc…). Vecchi fantasmi sembrano aleggiare ancora oggi sul nuovo che avanza ….

 

 

 

 

* Professore ordinario di Storia delle dottrine politiche – Università di Bologna