Ultimo Aggiornamento:
27 aprile 2024
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Fratellanza apost 2015

Azzurra Meringolo * - 04.08.2015
Fratelli Musulmani bandiera

È sempre più tagliente il conflitto interno a quel che resta della Fratellanza Musulmana egiziana.  Tenuto segreto il più possibile per non scalfire l’immagine di una Confraternita già in crisi a causa degli attacchi esterni, dopo che il battibecco tra alcuni suoi leader è andato in onda sugli schermi delle televisioni egiziane, lo scontro è divenuto di dominio pubblico.

 

Tra Turchia e Qatar, ma le redini al Cairo

 

Dalla deposizione, nel luglio 2013, del presidente islamista Mohammed Mursi, la Fratellanza si è confrontata con ingenti perdite, dovute soprattutto a defezioni obbligate dal confronto con quel “nuovo regime” che nel dicembre 2013 l’ha definita un’organizzazione terriristica, confinandola nuovamente alla clandestinità.  A causa del congelamento dei beni di più di mille organizzazioni caritatevoli accusate di essere affiliate agli estremisti islamici, la Fratellanza non è neanche riuscita a portare avanti quelle attività sociali che hanno di solito un grande impatto sulla popolazione. Le retate, gli arresti di massa, le condanne a morte imposte a molti dei suoi membri hanno poi sconvolto l’organizzazione della sua leadership.

 

La Confraternita non ha però rinunciato alla sua lotta. Per portarla avanti alcuni membri sfuggiti alla morsa della giustizia egiziana hanno trovato rifugio in Turchia e Qatar da dove cercano di coordinare la loro resistenza. I Fratelli rimasti al Cairo vogliono però tenere le redini del movimento.

 

Largo ai giovani

 

Per ricostruire la sua struttura, la Fratellanza ha dovuto confrontarsi con quanto avvenuto sul territorio egiziano, in primis la necessità di agire nuovamente clandestinamente, dovendo confrontarsi quotidianamente con le forze di sicurezza egiziane.

La riorganizzazione della leadership è passata attraverso un processo di consultazione interno che ha portato all’elezione, nel febbraio 2014, di una commissione per la gestione della crisi. Anche se Mohammed Badie - guida suprema del movimento condannato a morte - è stato confermato leader spirituale, i militanti hanno eletto anche il vertice di quella che chiamano la commissione della gestione della crisi. Questo è coadiuvato da un segretario incaricato di supervisionare le questioni prettamente organizzative e da un ufficio per gestire gli affari esteri della Fratellanza.

 

Secondo Georges Fahmy, ricercatore egiziano presso il Carniegie di Beirut, con queste nuove elezioni si sarebbe sostituito il 65% della leadership. Il 90% di queste new entry sarebbero giovani, ovvero quei quarant’enni che solo tre anni fa la vecchia leadership considerava troppo freschi per far parte dell’esecutivo del movimento.

 

Ritorno alla violenza, ma limitata

 

Questo cambiamento nelle fila di testa riecheggia anche sulla tattica politica della Confratenita. Ritenendo fallimentare la gestione dei loro predecessori, i giovani non si starebbero facendo scrupoli a tornare alla lotta armata, caratteristica della Fratellanza dei primi decenni. La nuova leadership sembra aver optato per un ricorso limitato alla violenza: usarla per operazioni che mirano a colpire il regime, ma non nei confronti di civili.

 

Basta leggere la cronaca di cui sono pieni i quotidiani egiziani per capire le conseguenze di questo nuovo approccio. Non sono pochi i militanti che hanno iniziato - per ora solo a titolo personale - a prendere di mira vetture e uffici della polizia, causando incidenti che rischiano di alienare quella significativa parte della popolazione che nell’estate del 2013 ha mostrato un forte scontento nei confronti della Fratellanza, chiedendone l’uscita di scena.

 

Leadership e base popolare

 

Seguendo quei mezzi di informazione che dallo scorso maggio hanno dato ampio spazio al botta e risposta tra le diverse fazioni della Confraternita, si apprende che lo scontro interno alla Fratellanza va ben oltre il dilemma sul ricorso alla violenza, espandendosi anche sul rapporto che deve esistere tra la leadership e la base popolare del movimento. Una buona percentuale dei nuovi dirigenti ritiene che il processo decisionale debba essere più democratico e che le scelte non devono più essere imposte dai vertici sulla base. Anzi dovrebbero essere i consigli dei militanti a guidare la leadership.

 

Anche se i media egiziani continuano a trasmettere immagini e filmati che mostrano quanto tagliente sia lo scontro interno alla Fratellanza, è difficile pensare che questo spettacolo andrà avanti ancora a lungo. Entrambe le fazioni temono infatti che mostrandosi parte di una Confraternita non coesa possano perdere credito. È quindi probabile che il tono dello scontro, almeno quello pubblico, si abbassi. Ma nei loro incontri clandestini, i Fratelli Musulmani continueranno a bisticciare.

 

Del resto, nessuna delle opzioni attualmente in tavola sembra perfetta per il futuro della Confraternita. Il dillema è quello tra un ritorno alla disciplina piramidale del passato e la decentralizzazione inaugurata dalla nuova gestione. Mentre quest’ultima rischia di rallentare e indebolire il processo decisionale, la prima opzione potrebbe portare a un progressivo allontanamento di quei giovani che ora si accontentano di ricorrere alla violenza limitata, ma che presto potrebbero anche essere pronti ad arruolarsi in quei movimenti estremisti che stanno sconvolgendo il Medio Oriente.

 

 

 

 

Ricercatrice presso l’Istituto Affari Internazionali (IAI), e caporedattrice di Affarinternazionali.