Ultimo Aggiornamento:
27 marzo 2024
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Francesca Rigotti, L’era del singolo, Torino, Einaudi, 2021, pp. 132

Roberto Caruso * - 08.12.2021
Rigotti L'era del singolo

In questo saggio lo sguardo di Rigotti è rivolto a tutti noi che, chi più chi meno, stiamo diventando consciamente o inconsciamente singoli, che è come dire, vedi la dichiarazione in copertina, “essere individui non basta più”. Per sostanziare questa tendenza, che si potrebbe sintetizzare come una propensione o una pulsione a voler essere più diverso fra i diversi, Rigotti fa un uso accorto e misurato di alcuni concetti come felicità e autonomia, porta una contestualizzazione storica e la arricchisce con esempi del nostro quotidiano.

L’idea di felicità collettiva è contrapposta a quella del singolo o del singolarismo. Da una parte essere felici insieme, comunicarsi e condividere l’appagamento come dono reciproco, un benessere che cresce e si esalta nello scambio.  Dall’altra parte la felicità come somma dei singoli appagamenti, come se le condizioni che la determinano dipendano soltanto dal singolo individuo. Che poi “è fortemente in dubbio il fatto che, primo, la felicità sia un concetto preciso e obiettivo nonché, secondo, una condizione raggiungibile da ognuno”.

Al concetto di felicità si affianca quello di autonomia come forma più concreta e forse più accessibile di felicità. Autonomia intesa come la capacità di prendere decisioni sulla base di motivazioni proprie, dunque come il potere dello spirito di dare a se stesso la propria legge. Proprio l’esasperazione dell’autonomia, cioè della messa in atto della propria libertà, è origine, secondo l’autrice, della nascita dell’era del singolo.

Qual è l’era precedente a quella del singolo? Capire chi siamo o cosa stiamo diventando passa necessariamente da un percorso storico. Dalla società organicistica, vista come un corpo al di sopra delle parti, alla società dell’individualismo, periodo storico che inizia all’uscita dal Medioevo e dove si assiste alla nascita dei diritti umani e dell’esaltazione delle somiglianze. In altre parole dall’individuo per lo Stato allo Stato per l’individuo. Poi dalla seconda metà del Novecento si passa gradualmente dall’individualismo, di fatto a tutt’oggi ancora presente, verso il singolarismo.

L’analisi di Rigotti si basa pure sulle differenze che distinguono il singolarismo. Da un lato pare relativamente semplice mostrare cosa accade qui e ora, ma ciò non implica necessariamente l’immediata presa di coscienza della mutazione del nostro essere e del modo di vivere il mondo e, soprattutto, delle possibili conseguenze, positive o negative che siano. Nel libro non mancano gli esempi della nostra quotidianità mostrati con sguardo attento e profondo. Le testimonianze riportate di questa oramai diffusa tendenza al singolarismo coprono diversi ambiti: dalla scuola per tutti alla scuola su misura, dall’egoismo al narcisismo, dalla morte come parte della vita alla sua non accettazione, dalla bellezza alla sorpresa, dalle cose fatte per il gruppo alle cose fatte per sé stessi, e altro ancora.

E la tecnologia con i suoi nativi digitali? E noi adulti naturalizzati digitali? La digitalizzazione del mondo è connotata come un distanziatore sociale, come qualcosa che si interpone fra le persone limitando o addirittura annullando la componente verbale, la presenza fisica, il toccarsi, contribuendo così ad accelerare e rafforzare il singolarismo. La rete ci connette, ma altrettanto ineluttabilmente ci rende più singoli. Il mondo digitale pare prospettare un futuro dove l’intelligenza delle macchine sarà uguale o superiore a quella degli uomini (punto di singolarità) nonché capace di riprodurre se stessa in nuove forme migliori e più singolari. Uno scenario dove la distinzione tra artificiale e naturale non avrà più senso. “Un fenomeno da accogliere e regolare? Un fantasma delirante, un mostro da respingere?.

La fotografia che ci viene proposta di questa nostra realtà del singolo è composta da diversi particolari tutti inscindibilmente uniti fra loro e che presentano un denominatore comune, la fuga dall’omologazione. Ma ciò che può, o dovrebbe, preoccupare maggiormente non è la fuga dalla standardizzazione, bensì la parallela fuga dall’uguaglianza verso la felicità individuale, una deriva ben più rilevante.

L’autrice mostra dunque una realtà da noi oggettivamente riconoscibile e ci chiede di condividere con lei una serie di interrogativi che, una volta emersi, non possiamo ignorare. Per esempio che la felicità non è cosa esclusiva del singolo, che l’Araba Fenice è un modello e tale deve restare, che chi cade nelle sue ceneri può anche non farcela a rialzarsi senza per questo essere colpevole per la sua disgrazia. Non si tratta di cambiare chissacché o di detecnologizzare il mondo, ma di essere coscienti delle proprie azioni e comportamenti per evitare deviazioni pericolose, per non porre eccessiva distanza tra io e tu, per non correre il rischio di smarrire l’indispensabile noi. Nello scorrere delle pagine si ha sempre più l’impressione che “la percezione di essere qualcun altro rispetto ai propri simili”, in altre parole il singolarismo, sia forse una sensazione più virtuale dello stesso mondo digitale. Insomma, in qualche modo la vita di ogni individuo è già di per sé un’opera d’arte unica proprio per sua natura e forse poiché è a confronto con tutte le altre.

 

 

 

 

*Insegnante e scrittore, Mendriso, Svizzera.