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20 aprile 2024
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Donne vittime di violenza: la morte di Amira in Algeria rianima il dibattito

Francesca Del Vecchio * - 01.10.2016
Violenza sulle donne

Era il 29 agosto, ore 8 del mattino. Amira Merabet, 34 anni algerina, veniva uccisa bruciata viva da suo marito. Allarmata dalle sue grida, una vicina di casa ha chiamato la polizia. Amira è arrivata al City Hospital in condizioni critiche, prima di essere trasferita all’University Hospital di Costantina, capitale della regione. Troppo tardi. Amira ha ceduto alla gravità delle sue ferite ed è morta poco dopo l’arrivo in ambulanza. Il suo aggressore, che è ancora in fuga, è ricercato dalla polizia. Nella cittadina di El Khroub, 390 km a nord di Algeri, la popolazione è sconvolta.

 

Questa non è solo la storia di Amira, ma l’ennesimo episodio di femminicidio che si aggiunge al numero elevatissimo di casi di violenza sulle donne nei paesi arabi. La società civile ha deciso di scendere in piazza perché questa mattanza finisca: a Costantina, Algeri, Orano e Bejaia, si sono tenute diverse manifestazioni di denuncia. "Le associazioni chiedono allo Stato di proteggere le donne che affrontano gli uomini che approfittano di loro impunemente", ha detto Hasina Oussedik, direttore di Amnesty International di Algeri, al settimanale indipendente Jeune Afrique.

 

Tra il 2014 e il 2015, le denunce depositate alla polizia algerina per la violenza contro le donne sono cresciute del 27%, secondo i dati della Commissione nazionale per la promozione e protezione dei diritti umani. Ma queste cifre sono lungi dal riflettere la realtà: molte donne soffrono in silenzio e sono costrette a ritirare le denunce per paura di ripercussioni domestiche o per timore di rappresaglie sociali. Nonostante le difficoltà incontrate dallo Stato, nel mese di marzo dello scorso anno l’Algeria ha adottato una legge - fortemente osteggiata dai conservatori - che criminalizza la violenza contro le donne. Per la prima volta, questo concetto è stato introdotto nel codice penale che ha anche ampliato la nozione di violenza sessuale. É solo un piccolo passo, osservano le organizzazioni umanitarie: occorre prioritariamente istruire le donne sui loro diritti. Molte, infatti, non sono a conoscenza di quali siano le nuove leggi e le precedure varate dallo Stato in loro difesa. Altro passo fondamentale sarebbe l’abrogazione della legge che consente a uno stupratore di sposare la sua vittima presente ancora in molti paesi. Nel 2014 il Marocco - che ha problemi di violenza domestica simili all’Algeria - ha dovuto rimuovere questo articolo dal proprio codice penale, dopo il suicidio di Amina Filali, giovane costretta a sposare il suo aggressore.

 

Femminicidi e violenze - lungi dall’essere fenomeni unicamente arabi - sono particolarmente diffusi in tutto il Maghreb e nel Medio Oriente anche grazie a una serie di concause: lo scarso livello d’istruzione della popolazione, specie femminile, tenuta in scacco dai governi, laici e non, per evitare insurrezioni; una presenza quasi unicamente maschile nel dibattito sul tema dell’eguaglianza di genere, che di certo non favorisce la parità tra i sessi. Una sempre più restrittiva condizione sociale delle donne, specie in alcuni paesi. Un esempio fra tutti l’Arabia Saudita: come fa una donna saudita a recarsi alla polizia per denunciare un abuso se per uscire di casa deve essere accompagnata da un uomo. E quell’uomo, che è il suo tutore, è quasi sempre anche il suo carnefice. Sembra paradossale, invece è realtà. Come è realtà la legge approvata nel 2013 secondo cui il governo saudita ha stabilito che gli abusi domestici sono perseguibili penalmente. Ma non ha ancora stabilito chi debba supervisionare sull’applicazione di questa norma.

 

Non esiste la formula giusta per liberare le donne da questa condizione. Non esiste nessuno che possa cambiare le leggi al posto dei loro governi. Esiste solo la possibilità che la storia di Amira, di Amina e di tante altre donne come loro serva da combustibile per quella fiamma interiore d’orgoglio e coraggio che anima le donne.

 

 

  

 

* Francesca Del Vecchio, praticante giornalista. Collabora con Il Manifesto, Prima Comunicazione e East Journal. Ha collaborato con Tgcom 24.