Divisi e senza meta
Come è uscita la maggioranza dalla corrida parlamentare sul Meccanismo Europeo di Stabilità? Come era da aspettarsi: divisa, senza una leadership riconosciuta, ma soprattutto senza una meta verso cui tendere sia pure muovendo lungo itinerari diversi. Del resto non c’era solo il MES come argomento di contrapposizione: la questione della prescrizione è un’altra non piccola pietra d’inciampo.
È poco utile ritornare su una valutazione appropriata del MES, che non è ovviamente un testo sacro, ma non è neppure quel meccanismo infernale immaginato per stritolare i risparmiatori italiani come vorrebbero far credere Salvini e Meloni. I temi da affrontare sono altri. Senz’altro quello, abbondantemente dibattuto sulla stampa e alla TV, di un provvedimento che è stato progettato quando al governo c’erano quelli che adesso gli sparano contro e che allora evidentemente si occupavano d’altro. Tuttavia va anche detto che gli stessi attuali sostenitori dell’impresa, a cominciare da Conte, non si può dire non abbiano avuto delle distrazioni nel lasciar passare qualche normativa ambigua.
Il fatto è che quando si negozia da posizioni di debolezza è difficile far ascoltare la propria voce: e quando il Conte 1 sedeva ai tavoli europei in cui si ragionava del “salva-stati”, i nostri rappresentanti non erano guardati con particolare considerazione positiva.
Il secondo punto su cui vorremmo attirare l’attenzione è che in tutto il dibattito nessuno ha ragionato guardando al tema da una prospettiva europea anziché da una nazionale. Per carità, siamo in buona compagnia quando facciamo così, ma ciò non toglie che sia una debolezza. Quando infatti si inventa un meccanismo che deve sostenere dei paesi in grosse difficoltà finanziarie, sarebbe strano si prescindesse dal chiedere loro di dare garanzie di non sperperare anche i soldi che gli si prestano come hanno fatto in precedenza coi loro. È quello che avviene quando si chiede di ristrutturare il debito di una nazione, ma è difficile sia possibile il contrario: significherebbe continuare a far pagare ai propri contribuenti il costo delle finanze allegre altrui.
Si può capire che ci sia il timore che domani questo possa avvenire con l’Italia, ma è utopistico pensare che l’Europa presti, a noi come ad altri, denaro che finisce in un pozzo senza fondo. È stato fatto qualche volta in passato? Certamente, ma non è una ragione che possa invitare a perseverare nell’errore.
Dunque coloro che si oppongono fieramente al MES con argomenti demagogici dovrebbero valutare la scarsa plausibilità che questi possono avere presso i nostri partner. Certo coi meccanismi europei che si basano su decisioni prese all’unanimità è sempre possibile fare il bastian contrario, ma poi se ne pagano le conseguenze. Il nostro debito ha bisogno di finanziamenti internazionali e se diamo l’impressione che non ci importi più di tanto renderli sicuri, quelli o fuggiranno o chiederanno tassi di prestito sempre più alti (questo è lo spread). Guadagnare un po’ di voti per far naufragare il paese non dovrebbe essere considerata una gran prospettiva, a meno che non si agisca come poi fanno sempre i demagoghi: quando arrivano al potere cambiano subito prospettiva.
Evidentemente questa crisi interessa, sia pure in misura diversa, tutti i partiti rappresentati in parlamento. Chi ha seguito il dibattito parlamentare avrà visto che è mancato del tutto qualcuno che riuscisse a parlare in una prospettiva europea e con un’ottica di lungo periodo: si è accettata la polemica dozzinale imposta dalla destra e quando ciò succede è sempre questa a trarne i maggiori vantaggi.
I Cinque Stelle sono però la componente che è in maggiori difficoltà. Privo di un vero leader, un movimento con le loro caratteristiche non riesce a sopravvivere: solo un leader può esibirsi a dire tutto e il contrario di tutto a seconda di dove tira il vento. Di Maio prova a fare questa parte, ma siccome non è un leader ottiene solo risultati patetici. Il massimo che riesce a fare è piantare bandierine o cercare di farlo. Così si vanta di avere impedito le multe ai commercianti che non si dotano di un POS (ma allora perché puntare su quello strumento per il controllo dei flussi del piccolo commercio, dove gli “aggiustamenti” fiscali sono molto diffusi?), oppure cerca di fare le barricate perché non si metta in discussione la normativa che blocca la prescrizione dopo il giudizio di primo grado, cioè difende una norma che trova sostegno solo nei suoi fan club (alcuni anche paludati, ma sempre fan club sono).
Non meraviglia dunque che ci sia un lavoro, neanche tanto sotterraneo, per promuovere una scissione nei Cinque Stelle. Salvini vi ha quasi fatto appello nel suo intervento al dibattito sul MES (ma in maniera più sfumata anche in altre occasioni), ma anche dalle parti del PD si comincia a pensare che se da M5S uscissero alcune componenti, la famosa alleanza strutturale vagheggiata ai tempi della fondazione della nuova maggioranza potrebbe tornare ad avere un senso.
Ci sono prospettive in questa direzione? Non ci sentiremmo di escluderlo, soprattutto se le prossime vicende elettorali e non solo continuassero a certificare la contrazione di un movimento a cui l’equivoco furbesco di non stare né da una parte né dall’altra e l’illusione di essere l’ago della bilancia non sta proprio portando bene.
di Paolo Pombeni
di Francesco Domenico Capizzi *