Dal controllo interno al controllo sociale
Una delle esigenze postulate con crescente enfasi in tutti i più avanzati modelli di organizzazione sociale è la possibilità di utilizzare diverse chiavi di accesso e di lettura al fine di osservarne il funzionamento, nella prospettiva della loro ottimizzazione.
Quando si parla di trasparenza si intende l’esercizio di una facoltà di penetrazione e di controllo sui meccanismi e sulle finalità del contesto istituzionale considerato.
Tanto che da tempo si insiste sul concetto di “controllo della qualità” allo scopo di rendere tangibile e manifesta la nozione di “bene comune”: se la qualità fosse misurata soltanto dai gestori di un servizio essa avrebbe una valenza prettamente autoreferenziale e giustificativa.
Questo criterio si dovrebbe applicare con maggiore frequenza al funzionamento della complessa macchina politica, agli assetti e ai servizi resi dalla Pubblica Amministrazione, all’intero quadro istituzionale nelle sue articolazioni centrali e periferiche, in quanto una più puntuale definizione del tipo di controllo da realizzare è propedeutica e preliminare al concetto stesso di democrazia partecipata.
In una dittatura o in un sistema di oligarchie ristrette il diritto di esercitare una funzione di controllo sul potere è negato in partenza: chi lo detiene saldamente, infatti, preclude pregiudizialmente ogni accesso e la realtà visibile agli occhi dei più appare solo un triste gioco di simulazione e dissimulazione del vero.
Specularmente, in una società trasparente nulla è oscurato alla verifica dei modi e dei fini, al punto che nelle più evolute democrazie sono saldamente radicate e stabilizzate tutte le forme di controllo, verifica, accesso ai dati e alle informazioni senza che ciò costituisca configgente motivo di violazione della privacy.
In tali contesti (pensiamo alle democrazie scandinave, agli Stati Uniti al Regno Unito) il controllo è di fatto istituzionalizzato, diventa sistemico e organico: ovviamente si esercita laddove è realmente necessario, senza concessioni alla delazione, alla spettacolarizzazione o ad usi distorti e strumentali.
Pensiamo alla politica e alla Pubblica Amministrazione poiché sono questi gli ambiti di potenziale, maggiore utilità dell’azione di controllo e ciò in base a due ben precisi requisiti: il rispetto del principio di “interesse comune” e la pratica del “senso civico”, intesa come espressione di una diffusa e consolidata maturità popolare che rende implicito un forte e motivato senso di appartenenza.
Un modello istituzionale e sociale “ottimizzato” riconosce e prevede sostanzialmente tre forme di controllo: quello interno, quello esterno e quello sociale.
Il primo viene esercitato nell’ambito dell’apparato organizzativo ed ha una valenza essenzialmente tecnica ed auto regolativa: in pratica serve a registrare i meccanismi degli assetti interni e a verificarne i livelli di efficienza ed efficacia, nell’ottica della qualità del servizio reso.
Un’istituzione, un partito, un ente, un’associazione, un sindacato che non prevedano questo primo livello di verifica interna sarebbero strutturalmente monchi e – spesso – arbitrariamente gestiti: la condizione ovvia e preliminare a che il controllo tecnico venga esercitato è la sua “terzietà” rispetto agli assetti gestionali. Non sempre questa condizione si realizza: in una struttura di potere potenzialmente incline al condizionamento se non alla vera propria corruzione, il controllo interno non riesce a svincolarsi da rapporti di subordinazione e di soggezione rispetto alle gerarchie degli apparati. La verifica potrebbe allora risultare falsata da una pregiudiziale sudditanza, acquiescente, accomodante, ininfluente, oppure potrebbe essere corretta, autorevole ma inascoltata.
Ecco allora che subentra la necessità di avvalersi di organismi esterni, autonomi e indipendenti capaci di esprimere una valutazione rigorosa, fondata su presupposti di oggettività, neutralità, competenza specifica. Si pensi alla non sempre gradita verifica delle agenzie di rating che – di fatto - esercitano un potere addirittura superiore al mandato ricevuto, poiché esprimono logiche valutative asettiche, matematiche, numeriche e classificatorie che non considerano variabili di tipo digressivo, interlocutorio, temporale e soggettivo, violando spesso o condizionando pesantemente la stessa autonomia politica degli Stati sovrani.
Si consideri tuttavia quanto sia importante in via generale per una società, un’istituzione, un ente il potersi avvalere di organismi che esercitano un controllo esterno in virtù di riconosciuti e conclamati requisiti strutturali di garanzia e di tutela quali sono la competenza, la scientificità e la responsabilità.
Ciò premesso, il processo di controllo si fa completo ed assume una valenza funzionale al perseguimento del bene e dell’interesse comune allorquando si estende a livello sociale, riguarda la collettività e viene esercitato al massimo livello di pubblicità possibile.
Il controllo pubblico esprime e rappresenta l’esigenza di restituire ai cittadini il diritto-dovere di essere informati, di valutare, di esprimere opinioni, di intervenire nelle decisioni, di formulare critiche, di esercitare la possibilità di dissentire o viceversa di condividere, di essere ascoltati.
In ciò si realizza il livello più elevato di democrazia diretta e partecipata.
Occorre che il popolo possegga un radicato senso civico per realizzare correttamente questa funzione di controllo sociale, a cominciare dal basso.
Non è infatti raro il pericolo del pre-giudizio, della valutazione sommaria e affrettata anche sulla spinta di un’informazione non sempre corretta e misurata.
Al più alto e nobile livello del controllo sociale occorre infatti che il mondo dell’informazione garantisca la massima trasparenza, obiettività e tutela dei dati sensibili per evitare sommari processi di piazza di cui è piena la cronaca e – purtroppo - anche la storia.
* Già dirigente ispettivo MIUR
di Francesco Provinciali *