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18 maggio 2024
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Cultura e lingua per Putin sono strumenti di egemonia

Francesco Cannatà * - 07.12.2019
Russkij mir.

Uno dei concetti fondamentali utilizzati dalla dirigenza russa per ricostruire il ruolo del proprio paese come polo culturale mondiale e quello Stato come potenza politica, è l’idea del Russkij Mir. Il Mondo Russo, secondo quanto affermato nell’ottobre 2018 da Vladimir Putin al VI Congresso panrusso dei connazionali viventi all’estero, raccoglie e unifica tutti coloro che “hanno o sentono legami spirituali con la nostra Russia, si sentono portatori della sua lingua, la sua cultura e storia”. E, indubbiamente la lingua russa ha svolto a lungo il ruolo di lingua koinè, strumento di socializzazione civile nello spazio eurasiatico. Ora però questo asse portante del soft power del Cremlino sta perdendo colpi. E questo nonostante tutti gli sforzi finanziari compiuti dalle attuali élite del paese. Allo scopo di favorire la sua diffusione, Mosca dispone di tre grandi strutture: il Rossotrudnichestvo che con un budget annuale di 480 milioni di rubli finanzia 66 corsi nei centri culturali e scientifici russi presenti in 58 paesi; la fondazione Russkij Mir, 500 milioni di rubli all’anno, 102 centri in altrettanti paesi; infine il ministero dell’Istruzione che entro il 2019 dovrebbe creare una dozzina di nuovi centri per lo studio della lingua. I centri saranno aperti secondo un piano previsto dal governo che a questo scopo per il periodo 2019-2025 ha messo a disposizione 7 miliardi di rubli.

Scopo di tali sforzi è il contrasto a quello che secondo i dati presentati dal Ministero federale dell’Istruzione è il calo dello studio del russo. È questo infatti il risultato di uno studio condotto dal Centro di indagini sociologiche (FGANU), commissionato e finanziato dal Ministero dell’Istruzione. Attualmente, afferma il documento, la lingua russa, presente in 27 paesi, per diffusione occupa il decimo posto al mondo. I dati del Centro registrano come i rivolgimenti politici avvenuti nell’ultimo decennio del XX° secolo, crollo dell’URSS e fine del socialismo, abbiano colpito anche il prestigio della lingua russa. All’inizio degli anni ’90, il russo era studiato da 74,6 milioni di persone. Numero sceso a 51,2 milioni nel 2004 per ridursi a 38,2 milioni nel 2018. Dallo stesso conteggio fatto senza tenere conto dei paesi dell’ex URSS, risulta che oggi il numero degli studenti di lingua russa è poco più di 1 milione. Notevole è il fatto che il crollo sia avvenuto soprattutto nei paesi dell’Europa orientale e nei Balcani, zone dove oggi il Cremlino intende sviluppare l’influenza russa. Qui nel 1990 vi erano 38 milioni di russofoni, scesi nel 2015 a 8 milioni. Meno drammatico ma ugualmente forte il trend in corso negli Stati dell’ex URSS, dove nel 1990 il russo era parlato da 119,5 milioni di persone, ridottisi oggi a 82,5 milioni. Fenomeno inverso si osserva invece in Australia, Canada, USA e Nuova Zelanda, dove dal 1990 i russofoni sono aumentati di circa 3 milioni. Secondo il direttore del giornale Rossija v Global’noj Politike, Fedor Luk’janov, “nel mondo è in atto la rinascita della lingua russa ma questo avviene in maniera non uniforme”. Secondo l’analista tra i più vicini alle attuali élite del Cremlino, Mosca “per sostenere la diffusione della lingua” nazionale si impegna meno dei paesi europei. Per Luk’janov, Francia, Germania e persino Svezia portano avanti una “politica culturale più dinamica di quella di Mosca”. Incerte sono anche le prospettive future del russo. Per gli esperti del Centro se oggi il 3,2% della popolazione mondiale lo padroneggia, nel 2015 questa percentuale sarà del 2,7%. Prospettive che uno degli autori dello studio, il vice direttore del Centro, Aleksandr Aref’ev, definisce “tragiche”.  Più sfumato il giudizio del prorettore dell’Istituto Pushkin per lo studio della lingua all’estero. Per Mikhail Osadcheg il fatto che oggi lo studio del russo avvenga in centri privati non riconducibili alla politica fatta da Mosca per favorirne la diffusione “rende difficile sapere esattamente” il numero degli stranieri che lo studiano.  All’inizio di novembre, a una seduta dedicata alla questione, Vlaadimir Putin ha affrontato “senza cerimonie” lo stato della lingua di Tolstoj nel mondo, accusando i “russofobi trogloditi” e il “nazionalismo aggressivo”. Invece, secondo il presidente negli Stati amici della Russia, l’interesse per il russo è “schietto”. Putin non si è nascosto che “l’influenza della lingua e della Russia nel mondo si accrescerà se aumenterà il nostro benessere nel senso più vasto del termine, non solo quello dello Stato e ma anche quello del paese”. Altrimenti il “crack” non si fermerà.

 

 

 

 

* Dottore di ricerca in Storia dell’Europa orientale e autore di Nel Cuore d’Europa, Textus 2019.