CSM: occorre una seria riflessione, non slogan
In tutte le organizzazioni in cui i vertici vengono eletti dalla base di riferimento si creano delle aggregazioni extra professionali di carattere culturale, valoriale, ideale, ideologico e financo partitico. La funzione di queste aggregazioni è da un lato quella di connettersi ad alcune componenti del mondo esterno alla professione stessa sostenendone i valori all’interno della propria organizzazione, dall’altro di orientare il voto degli aventi diritto in conformità appunto a valori di identità e identificazione più generali. In magistratura si chiamano correnti. Nel mondo accademico, per la scelta dei componenti le commissioni di concorso, si chiamano cordate. Nel mondo sindacale (CGIL ad esempio) una volta si chiamavano componenti oggi si chiamano sensibilità congressuali. I punti di riferimento variano ma hanno sempre un riferimento più o meno diretto con il mondo politico: non esistono solo i partiti, oggi sempre meno attrattivi, ma contano anche massoneria, Opus Dei, Comunione e Liberazione, ecc. o, più semplicemente la contrapposizione, in senso lato, tra progressisti e conservatori.
Una volta costituite, spesso sulla base appunto di valori e visioni del mondo condivise, queste aggregazioni hanno come funzione strutturale fondamentale quella di garantire il massimo dei benefici ai propri aderenti soprattutto in termini di carriera e di accesso ai vertici della organizzazione stessa. Sui modi in cui questa funzione viene esercitata si può discutere ma non si può dimenticare che, come avrebbe detto il vecchio presidente Mao, non si tratta di un pranzo di gala e i giochi spesso vanno ben al di là di quello che possiamo considerare un comportamento etico orientato alla promozione del merito. Chi nega questa ricostruzione nega l’evidenza. Palamara probabilmente ha esagerato come stile ma, soprattutto, si è fatto beccare e questa è sempre una colpa grave. Che molte anime belle del mondo della giustizia gridino allo scandalo è decisamente sorprendente visto che le cose funzionano in questo modo da alcuni decenni.
In ogni caso il meccanismo della nascita delle aggregazioni extra professionali, scatta sempre e comunque in presenza della elezione diretta dei vertici e questo vale per qualsiasi organizzazione. Possono esserci variazioni di stile ma la logica è sempre la stessa.
Nel caso del CSM conviene prendere in considerazione alcuni altri aspetti.
I componenti togati dell’organo di autogoverno della magistratura sono nella stragrande maggioranza dei casi magistrati a metà carriera, relativamente giovani, molto attivi nella corrente che spesso li ha prima portati ai vertici dell’ANM prima e al CSM poi. Sono rarissimi, a parte i due componenti di diritto, i casi di capi degli uffici con esperienza dirigenziale. Questo è curioso perché una delle funzioni principali del Consiglio è quella di nominare i capi degli uffici in tutta Italia. E’ come se direttori di dipartimento, presidi, rettori, venissero nominati da una assemblea ristretta composta da ricercatori e professori associati eletti ovviamente da tutti gli accademici. Detto in altri termini, chi nomina i capi degli uffici non ha alcuna esperienza diretta di cosa voglia dire gestire un ufficio, eppure è chiamato a valutarne la professionalità e l’adeguatezza al ruolo. La determinazione di parametri oggettivi di prestazione, che negli ultimi anni ha fatto certamente alcuni passi avanti, resta comunque sufficientemente aleatoria e soggetta a interpretazioni tanto da garantire sempre e comunque lo spazio per una strenua negoziazione tra le correnti che, per risolvere il problema, ricorrono quasi sempre allo scambio: io do un posto a te, tu dai un posto a me senza fare troppo i difficili.
Altra funzione cruciale è quella disciplinare che dovrebbe sanzionare i comportamenti non corretti, sotto diversi profili, di tutti i magistrati. Anche qui è curioso il fatto che a valutare tali comportamenti e ad erogare eventuali sanzioni siano magistrati che sono stati eletti proprio dagli stessi magistrati sui quali devono esercitare la funzione disciplinare. Il principio della terzietà di chi giudica vale per i cittadini ma non vale per i magistrati che se la suonano e se la cantano e, soprattutto, pretendono di lavare i panni sporchi in famiglia. Per la verità tutte le organizzazioni professionali sono abbastanza restie a sanzionare i comportamenti scorretti dei loro componenti nel rispetto di quella che Michel Crozier chiamava la interdipendenza dei privilegi. Ma i magistrati esagerano anche perché la sanzione più grave che viene erogata, a parte casi veramente molto eccezionali, è il trasferimento d’ufficio. Altra perla organizzativa: se uno viene ritenuto colpevole di un comportamento profondamente scorretto, spesso anche dal punto di vista penale, viene trasferito a far danni in altra sede.
Solo con queste considerazioni dovrebbe essere chiaro che la questione nodale del CSM, ben al di là dello scandalo contingente e di quanto ci si sta ricamando sopra, è squisitamente una questione di potere che, quantomeno, andrebbe affrontata come tale. Se di questo si tratta allora cambiano la prospettiva e gli strumenti teorici e concettuali attraverso i quali si può sperare di raddrizzare la situazione. Il problema non è morale e nemmeno moralistico. E’ un problema strutturale di logiche e di dinamiche di potere che in quanto tali vanno analizzate e affrontate. Le innumerevoli ipotesi di riforma che non partano da questa convinzione sono destinate a sicuro fallimento.
* E' stato docente universitario di Teoria delle organizzazioni. Il suo blog è ww.stefanozan.it
di Luca Tentoni
di Francesco Provinciali *
di Stefano Zan *