Comunicazione politica e giornalismo politico: alcune riflessioni nell’era della disintermediazione
Il dato che la comunicazione digitale e l’uso politico dei social media abbiano ormai sottratto ogni spazio al giornalismo politico viene spesso considerato come un assunto. La disintermediazione della comunicazione politica, soprattutto nelle forme digitali e social, di prevalente dominio degli account leaderistici, si sostituirebbe ai tempi di produzione della notizia politica e alla capacità di contestualizzare, interpretare e commentare del giornalismo. La domanda da porsi è: la comunicazione politica, tramite media digitali e social, ha reso obsolescente il giornalismo politico e si sarebbe sostituita ad esso?
Il riferimento è quello ai caratteri politico-istituzionali e massmediali del modello “mediterraneo” o pluralista polarizzato di Hallin Mancini (2009). I sistemi istituzionali mediterranei sono caratterizzati da un avvento tardivo della democratizzazione, intesa come la somma dei processi di liberalizzazione e di inclusività; da un pluralismo partitico polarizzato; dalla centralità dei partiti politici quali corpi intermedi per la trasmissione delle istanze dalla cittadinanza alle istituzioni; da un ridotto sviluppo dell’autorità razionale-legale, intrinsecamente connesso con la diffusione del clientelismo. Dal punto di vista della attività giornalistica, l’assetto mediatico nel sistema mediterraneo appare connotato da una limitata circolazione dei giornali, da una stampa riservata alle élite, con una televisione “regina” dell’informazione politica per i cittadini, e una forte dipendenza dallo stato dell’intero settore dell’informazione: questo determina lo sviluppo di un giornalismo di retroscena e di commento, piuttosto che investigativo e di analisi.
Non sorprende pertanto, che, nel corso della storia repubblicana, giornalismo e politica siano stati spesso coinvolti in relazioni di collateralità, laddove non di scambio. L’appartenenza ad un medesimo milieu culturale di politici e giornalisti, l’esigenza di avere accesso alle notizie e alle fonti politiche da parte della stampa specializzata, una decisa dipendenza del settore dai contributi statali sono fattori che hanno limitato, nei fatti, la crescita del modello del “giornalismo avversario” e l’approccio investigativo.
Su questo tipo di contesto si sono innestati professionisti dalle eccezionali qualità personali (tra gli altri Montanelli e Biagi, Fallaci e Cederna, per essere bipartisan) e si sono verificati momenti in cui il racconto giornalistico dei fatti della politica si è dovuto sganciare dalla versione dei protagonisti delle vicende politiche, come nel caso di Tangentopoli, dove la narrazione della politica si è ridotta a resoconto delle vicende giudiziarie. Al tempo stesso, la professione giornalistica non è, in alcune circostanze, riuscita a sottolineare adeguatamente mutamenti e transizioni, come nel caso del la transizione partitica dalla prima alla seconda repubblica.
Di recente, la percezione della contiguità tra politica e giornalismo politico è stata additata, nell’era del web, come uno dei problemi democratici del nostro paese, in particolare da quelle forze politiche che ritenevano, a torto o a ragione, di essere escluse dal circuito politico-mediatico.
Così, la sfiducia verso i professionisti dell’informazione politica si è saldata sulla rivoluzione digitale dell’informazione politica con i nuovi media. La tecnologia ha reso disponibile, con gli smartphone, la fruizione integrata di media tradizionali, media digitali e social media ha sostanzialmente modificato il modo di ricevere, produrre, diffondere l’informazione politica tra i cittadini.
Si sono affermate “dal basso” tecniche di controllo diffuso sull’azione dei poteri democratici mediante la rete (Manin, Rosanvallon). È nato il modello dei prosumer (Toffler) dell’informazione, ovvero il nuovo ruolo misto di produttore e consumatore di informazioni politiche, grazie alla infrastruttura dei social. Così, i contenuti generati dagli utenti, all’inizio degli anni 2000, hanno dettato l’agenda al giornalismo politico, grazie alla capacità di essere istantanei rispetto all’evento che intendono descrivere; in ragione della elevata capacità di immedesimazione degli utenti; per via della facilità di condivisione, replicabilità, diffusione di questi contributi. La rincorsa dei professionisti del giornalismo nei confronti di tale tipo di contenuti appare in occasione di eventi e manifestazioni internazionali, quali le primavere arabe o episodi di terrorismo interno ed internazionale dall’inizio degli anni 2010.
Dal punto di vista della politica, l’avvento dei social media costituisce un punto di svolta. La comunicazione politica trova nei social - apparentemente orizzontali, illimitatamente disponibili, rivolti senza alcun filtro ad un pubblico universale di cittadini elettori - un nuovo canale di supporto per le pratiche della disintermediazione, ovvero quei processi di distribuzione diretta di messaggi politici da parte di un leader nei confronti di una audience di cittadini.
Fino a questa fase, la comunicazione di partiti e leader aveva avuto l’esigenza di organizzare una propria presenza sui media tradizionali, relazionandosi con operatori professionalizzati dell’informazione. Con l’avvento dei social, la comunicazione politica arriva direttamente ai destinatari, senza contestualizzazioni, introduzioni, puntualizzazioni, mediazioni operate dal giornalismo e senza l’esigenza di dover adattare il messaggio al formato proposto dai media.
Il tema ha un impatto decisivo, perché da una corretta e completa informazione dei cittadini elettori deriva una migliore capacità di elaborare scelte politiche. Una cittadinanza adeguatamente informata sui fatti della politica e sulla vita delle istituzioni garantisce una maggiore e migliore capacità di attivazione non solo politica, ma anche economica e sociale.
In una competizione costante tra contenuti generati da utenti, spin prodotti da esperti di marketing politico, le differenze nelle finalità e nelle modalità di redazione dei contenuti e nella professionalità del giornalismo politico risultano la chiave vincente per la determinazione del ruolo del giornalismo politico. Non si tratta solo di riaffermarne la credibilità fronte del proliferare di fake news e post-verità sui social. Urge invece una riflessione sulla capacità giornalistica di creare una sfera pubblica informata e consapevole, a fronte del variegato panorama di post-verità generate dagli utenti e della bulimia della comunicazione dei leader politici sui social.
Il compito del giornalismo politico è allora duplice. Da un lato, esso deve puntualizzare e contestualizzare il flusso della comunicazione politica dei leader, svelandone finalità e meccanismi, per una più corretta integrazione del quadro politico. Dall’altro il giornalismo politico deve integrare, grazie alla sua professionalità e alla sua continuità, le pur interessanti esperienze di citizen journalism.
Un sistema autenticamente pluralista, dal punto di vista informativo, deve quindi consentire una convivenza secondo regole precise tra comunicazione politica, user generated content e giornalismo politico, in un ecosistema della informazione su politica e potere utile per l’interesse collettivo di una comunità.
* Ricercatrice in Scienze Sociali CNR – docente di Comunicazione e politica presso Sapienza Università di Roma
di Paolo Pombeni
di Maria Cristina Antonucci *
di Roberto Barbiero, Tommaso Orlandi e Veronica Wrobel *