Cambiamenti climatici e sicurezza alimentare: dalla COP 21 di Parigi alla PAC
Uno degli aspetti dei cambiamenti climatici meno discussi dai media, ma tra i più preoccupanti per il futuro della sopravvivenza umana sul pianeta, è l’impatto che essi genereranno sull’agricoltura e sulle altre attività primarie, che incidono pesantemente sulla sicurezza alimentare.
L’agricoltura, l’allevamento e la pesca sono legati da una duplice relazione ai cambiamenti climatici, con i primi che ad un tempo contribuiscono all’emissione di gas serra, e subiscono i danni causati dai cambiamenti climatici. La questione è poi connessa ad altri ambiti strategici per l’intero pianeta, che hanno a che fare con la globalizzazione dei sistemi di produzione e consumo del cibo; l’inquinamento; la diseguale distribuzione di beni, risorse e cibo; l’approvvigionamento e il consumo di risorse a scala globale, quali acqua, suolo, combustibili fossili.
Già nel 2011 le Nazioni Unite avevano stimato che, globalmente, circa il 40% dei terreni era degradato a causa dell’erosione dei suoli, della fertilità ridotta e del pascolo intensivo, prospettando una diminuzione della produttività e un calo anche fino al 50% dei raccolti negli anni a venire; avevano inoltre calcolato che l’agricoltura pesava per il 70–85% sull’impiego idrico mondiale e che nel 20% della produzione globale di cereali l’acqua veniva utilizzata in maniera non sostenibile. La Fao ha poi stimato che nei prossimi decenni i fattori ambientali potrebbero far salire i prezzi mondiali degli alimenti del 30-50% e farne aumentare la volatilità, andando a colpire prevalentemente la sicurezza alimentare delle famiglie più povere, ed esacerbando, molto probabilmente, le disuguaglianze globali.
Il rischio climatico è sempre più una minaccia concreta, che sta già portando a una riduzione della produzione agricola e degli allevamenti terrestri e marini, come conseguenza di una serie di concause che rispecchiano la complessità dei fenomeni atmosferici, marini e terrestri, collegati ai cambiamenti climatici. In alcune aree del pianeta l’inasprimento di fenomeni atmosferici estremi porterà a inondazioni e alluvioni, mentre in altre zone del globo si potrà verificare una sensibile diminuzione dei terreni arabili, come conseguenza dell’estensione della desertificazione derivante da pratiche agricole e pastorali insostenibili su suoli contemporaneamente sottoposti a una maggiore evaporazione a causa dell’innalzamento delle temperature, e a cui sarà necessario rispondere con una irrigazione sempre più massiccia. Contemporaneamente, l’aumento delle temperature farà proliferare insetti nocivi e causerà un loro spostamento a latitudini maggiori, imponendo un aumento nel consumo di pesticidi. Inoltre, la crescente temperatura degli oceani avrà effetti negativi sugli allevamenti marini nonché sulla pesca, mettendo a rischio la sopravvivenza di molte specie ed ecosistemi, e andando a colpire la sicurezza alimentare di una parte importante della popolazione mondiale, non solo nei paesi più poveri.
Questi fatti imporranno un radicale cambiamento delle strategie agricole e un massiccio investimento in tecnologie finalizzate a garantire l’adattamento alle mutate condizioni climatiche, a cui si dovrà affiancare una crescente ricerca di cibi alternativi, che soddisfino la fame di una popolazione globale che continuerà a crescere.
Essendo uno dei principali produttori mondiali di cibo (producendo circa un ottavo dei cereali globali, due terzi del vino e tre quarti dell’olio d’oliva), l’Unione Europea si sta sempre più confrontando con la necessità di fronteggiare il rischio ambientale connesso all’agricoltura. Da un lato l’Unione ha dovuto includere nella propria politica climatica azioni specifiche volte a limitare l’emissione di gas serra derivanti dalle attività primarie, introducendo buone pratiche che mettano in connessione la produzione agricola, il consumo di combustibili fossili e la sicurezza alimentare; dall’altro ha progressivamente previsto l’introduzione di una nuova sensibilità climatica nella Politica Agricola Comune (PAC), tanto che è stato stimato che il 25% dei fondi per la PAC 2014-2020 saranno connessi a questioni climatiche. Dagli ultimi dati Eurostat disponibili (2013), l’agricoltura contribuisce infatti per il 9,6% alle emissioni di gas serra sul territorio dell’Unione, una riduzione di circa il 24% rispetto al periodo 1990-2012, risultato di un drastico calo nel numero di capi di bestiame presenti sul territori europeo, di un’applicazione di fertilizzante molto più efficiente e di una migliore gestione delle deiezioni animali.
Le statistiche globali, tuttavia, mostrano che tra il 2001 e il 2011 si è assistito a una crescita complessiva del 14%delle emissioni di gas serra prodotte dalle attività agricole, risultato di un significativo aumento della produzione agricola soprattutto nei paesi meno sviluppati. Questo dato da un lato ci fa pensare alla necessità di migliorare l’efficienza energetica della produzione agricola in tutte le aree del pianeta, dall’altro ci porta a riflettere che di fronte a una popolazione crescente la possibilità di essere efficienti in questo settore diventa sempre più una sfida tecnologica che consenta di sviluppare tecniche agricole capaci sia di mitigare le emissioni di gas serra, sia di adattarsi all’inasprimento dei fenomeni climatici. Secondo un recentissimo studio della FAO, infatti, il 90% dei paesi che hanno presentato i loro INDC nell’ambito degli impegni della COP21 di Parigi 2015, hanno incluso strategie di adattamento e mitigazione relative al settore agricolo; tra questi i paesi meno sviluppati sono quelli che mettono maggiore enfasi su questa attività, riconoscendone da un lato l’importanza per lo sviluppo economico nazionale, ma evidenziando al contempo la necessità di farne un settore che sia davvero sostenibile sul lungo termine.
* Professore associato di Geografia presso l’Università di Bologna
di Luca Tentoni