Caccia al voto a qualunque costo
Qualcuno troverà incredibile che ci si stupisca per una cosa che è avvenuta da quando esistono i sistemi elettorali: la caccia al voto. Ma è l’aggiungere “a qualunque costo” che pone più di qualche problema. Che non si vada troppo per il sottile quando si devono aggregare consensi, passi. Che non ci si ponga nessun problema sembra troppo rischioso se si vuol mantenere in salute un sistema democratico.
Mettere nelle liste leader di partito che si sa benissimo che se venissero eletti non andranno al parlamento europeo fa parte di una caccia al voto del primo tipo. La maggior parte di coloro che votano sa come stanno le cose, specie considerando che per le urne europee la partecipazione è ristretta ad elettori mediamente informati (l’astensionismo è molto alto): non gli interessa mandare a Bruxelles/Strasburgo il loro leader di riferimento, gli interessa dare un sostegno alla sua posizione nel nostro paese (e in alcuni casi crede, o si illude, che un leader forte a Roma possa avere comunque un maggior peso in sede UE).
Ciò non può però significare che dimentichiamo la cattiva lezione viene da questo modo di raccogliere voti. Per contare a Bruxelles è necessario avere una classe dirigente che va lì con le competenze e le credibilità adeguate. L’Italia, salvo alcune più che lodevoli eccezioni (si pensi al ruolo che vi ha svolto a suo tempo Giorgio Napolitano, per non parlare di Altiero Spinelli), non è che abbia brillato particolarmente, ma altrettanto si può dire per la gran parte dei parlamentari europei, per cui non c’è neppure da eccedere in auto fustigazioni. Il fatto è che accentuando il carattere “interno” della prova elettorale europea si rafforza in una parte notevole dell’opinione pubblica la convinzione che l’Unione Europea sia in fondo un teatro secondario.
Dobbiamo ricordare quanto sia pericolosa questa prospettiva nel momento in cui la crisi sul fronte ucraino sta peggiorando, in cui abbiamo l’incubo di una vittoria di Trump alle presidenziali americane, in cui in Medio Oriente non si riesce a trovare una via per la stabilizzazione, in cui tutto questo e qualcosa d’altro, rimescolando la geografia delle alleanze internazionali, ci mette davanti alla prospettiva di una irrilevanza dell’Europa se gli stati che la compongono pensano ancora di poter agire come a metà del XX secolo (e anche allora non è che andasse benissimo …).
Proprio alla luce di tutto ciò risulta preoccupante la strategia dell’acchiappavoti a qualunque costo, che è qualcosa di più e di diverso da quanto abbiamo esaminato sinora. Quando Salvini candida come traino elettorale il generale Vannacci non chiede in realtà un consenso alla linea politica e alla iniziativa della Lega, ma semplicemente punta a raccogliere pregiudizi e rabbie che circolano in alcuni settori dell’opinione pubblica che si riconoscono nelle intemerate di questo alto ufficiale che si è conquistato gli onori delle cronache. Si tratta di un candidato che non è stato scelto perché espressione di quanto maturava nelle fila del leghismo, ma al contrario che è stato scelto solo perché poteva servire come richiamo a pregiudizi e passioni sulla base dei quali nessuno che sappia ciò di cui si parla pensa si possa fare politica.
Questo uso disinvolto del personaggio-richiamo non è certo ristretto a quella estrema destra demagogica ormai incarnata dal salvinismo (che non rappresenta affatto tutto il complesso mondo del leghismo, che, si condividano o meno le sue idee, di strada nell’ultimo trentennio ne ha fatta molta). Qualcosa di simile si trova nella ormai più che disinvolta gestione della competizione elettorale per le europee che sta caratterizzando l’azione di Elly Schlein. Anche qui il problema non è che lei si candidi direttamente cedendo alla moda della personalizzazione degli scontri politici: lo fanno tutti, magari con qualche variante, ma si capisce che per chi ricopre alcune posizioni di vertice è difficile sottrarsi alla tendenza imperante. Il tema è la trasformazione del suo partito in un carrozzone su cui si imbarcano personaggi dalle tesi contrapposte facendo passare questo bailamme per pluralismo.
Senza che ci sia stato alcun passaggio negli organi dirigenti e nelle sedi deputate al confronto delle idee, la segretaria mette capolista personaggi come l’ex direttore di “Avvenire” Tarquinio o la leader di Emergency Cecilia Strada che su un tema delicatissimo come la posizione da prendere sulla guerra in Ucraina hanno proposte che confliggono non solo con quelle di una buona parte dei rappresentanti del PD, ma addirittura con la linea politica espressa dal partito in sede parlamentare.
Altrettanto e forse ancor più stupefacente è che su un tema altrettanto delicato, ma questa volta di politica interna, come il referendum per l’abolizione del Jobs Act promosso dal governo Renzi allora a nome del PD si possa sostenere che legittimamente alcuni, fra cui ora la segretaria, possano sostenerlo e altri no. Non è che su una linea politica non si possa cambiare idea, è che questo va fatto in un congresso di partito, contandosi e conducendo un dibattito alla luce del sole. Sostenere come giustificazione da parte di Schlein di essere stata eletta segretaria avendo nel programma l’abolizione del Jobs Act suona quanto meno strano, visto che si sa benissimo che ha vinto grazie ad un apporto di votanti esterni e contro il voto degli iscritti.
Anche in questo caso ci si muove alla caccia di consensi a qualunque costo: raccattiamo quello del sindacalismo radicale, quello del pacifismo cosiddetto morale, ma al tempo stesso vediamo di mantenerci anche quello di chi la pensa diversamente. Un modesto storico si permette di ricordare che al socialismo italiano fra fine Ottocento ed inizi del Novecento il pastrocchio di tenere insieme massimalisti e riformisti non portò certo fortuna.
Al di là di queste considerazioni, che coi tempi che corrono pesano poco, va ribadito che un sistema democratico si indebolisce (ad essere ottimisti) se passa la convinzione che in fondo può essere tutto un mescolone di idee confuse e di passioni poco razionali. L’occasione dei confronti elettorali dovrebbe assolutamente evitare di dare conferme in quel senso.