Aspettando l’autunno
È un classico: in questa stagione la politica ragiona lanciando assaggi più o meno provocatori in attesa di un autunno in cui sono sempre attesi eventi più o meno sconvolgenti. Quest’anno non fa eccezione. L’ipotesi ventilata di una possibile crisi di governo è un sasso lanciato nello stagno per vedere l’effetto che fa, in attesa delle prove d’autunno: la legge di bilancio (la vecchia “finanziaria”), le tre tornate elettorali regionali in Liguria, Emilia Romagna e Umbria, il tutto col contorno dell’attesa per le pronunce sui referendum avviati, sia in termini di raccolta delle firme necessarie per promuoverli (il cui successo pare scontato), sia a livello di ammissibilità dei quesiti da parte delle Corti.
Ancor prima, probabilmente, si saprà cosa ha deciso von der Leyen a Bruxelles circa il ruolo da assegnare al commissario italiano, per vedere poi se e come avrà il via libera dal parlamento europeo. Non una faccenduola di scarsa importanza per la premier Meloni, che a seconda di come andrà, potrebbe o rafforzarsi in qualche misura, o finire sotto l’attacco concentrico delle opposizioni e di qualche alleato di maggioranza.
Infine ci sarà da vedere se e come andranno avanti le procedure per le due riforme istituzionali, quella sul premierato e quella sulla riforma del sistema giudiziario, al momento entrambe non proprio in ottime condizioni come iter parlamentare.
Si può capire perché c’è un certo nervosismo nel quadro politico. Le aspettative variano da caso a caso. Come si arriverà alla scrittura della legge di bilancio non è chiaro. Da un lato c’è la necessità di mettere un minimo in equilibrio il quadro della spesa pubblica, per cui poi strumentalmente gli oppositori, dentro e fuori il governo, si aspettano di poter denunciare una manovra dipinta come lacrime e sangue. Dal lato opposto c’è chi avverte che il favorevole andamento di alcuni settori economici avrebbe messo a disposizione del governo un po’ di risorse, il solito “tesoretto” di cui sempre si favoleggia, in modo tale da poter compensare tagli che ci saranno e qualche irrigidimento nel comparto dei privilegi vari con un po’ di spesa sociale a tutela delle fasce penalizzate da un sistema di salari sempre meno in grado di sostenere la vita delle famiglie.
Siamo di fronte a scelte politiche che il governo dovrà calibrare tenendo in conto la campagna elettorale per le tre regioni al voto. Qui lo scenario è molto mosso. In Emilia Romagna la tenuta della maggioranza di centrosinistra, ormai molto allargata, è data per quasi sicura. Il centrodestra ha optato per una candidatura civica, la prof. Elena Ugolini espressione di Comunione e Liberazione che in regione è piuttosto radicata, ma è dubbio che basti a convincere un buon numero di elettori a cambiare una tradizione di voto che sin qui non li ha delusi al punto tale da far saltare loro il fosso. In Umbria il pronostico sembra pendere a favore di una riconquista della regione da parte del centrosinistra, ma si ripresenta per la conferma l’attuale governatrice della Lega, non proprio una candidatura brillante: se venisse sconfitta malamente per Salvini sarebbe un problema.
La vera incognita è però la Liguria. Qui se, dopo il controverso intervento della magistratura contro il governatore Toti, il centrodestra riuscisse a mantenerne la guida sarebbe un colpo di teatro non da poco. Ancor più lo sarebbe una vittoria del centrosinistra che schiera l’ex ministro Orlando.
I risultati di queste sfide regionali verranno inquadrati dalla riuscita o meno da parte di Meloni di avere il commissario italiano di peso a Bruxelles. Questo lo si sarà sostanzialmente già visto quando si voterà nelle tre regioni, ma ci sono tutte le caratteristiche per farne un argomento polemico pro o contro la premier a seconda di come andrà.
Il tutto sarà condito dalle polemiche sia sulla questione dei referendum per il Jobs Act e per l’autonomia regionale differenziata, sia dal trascinarsi della vicenda delle riforme sul premierato e sulla giustizia. La riforma Calderoli è stata un formidabile autogoal della maggioranza: non solo sta muovendo la reazione delle regioni meridionali, ma non sfonda come consenso neppure nelle altre, perché al momento le competenze subito disponibili sono su materie che interessano poco alla gente (relazioni internazionali, commercio estero, ecc.), mentre il tema mobilitante della sanità è schiacciato dalla mancanza di risorse e sottoposto alla tagliola dei LEP, la cui determinazione chissà quando si avrà.
La riforma del premierato è sostanzialmente in stallo. Essendo stata mal formulata per compiacere a questo e a quello, si sta rivelando impraticabile, mentre migliorarla è quasi impossibile perché tutte le parti si sono arroccate nella difesa delle rispettive bandierine. Anche in questo caso, e non è molto diverso per la riforma del sistema giudiziario, si sta ingarbugliando tutto e sembra prevalere la tendenza a tirarla per le lunghe: conviene alla maggioranza, ma anche alle opposizioni, così ciascuno potrà continuare a proporre le sue retoriche senza pagare dazio. Si vedrà più avanti.
Insomma non sarà un autunno né semplice, né tranquillo per gli equilibri del nostro sistema politico, anche se ad un loro crollo non è facile pensare. Non si dimentichi che abbiamo sempre da gestire il famoso PNRR, una incombenza su cui non si può scherzare perché un fallimento in questo campo costerebbe al nostro paese un prezzo esorbitante: sia in termini di risorse economiche, sia in termini di credibilità e di status internazionale.
di Maurizio Griffo *