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17 aprile 2024
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“Veloce la vita”, o dell’impossibilità di evitare la Storia

Giovanni Bernardini - 24.10.2018
Sylvie Schenk Veloce la vita

Stolpersteine, “pietre d’inciampo”. Così si chiamano i piccoli blocchi di pietra ricoperti d’ottone e disseminati tra i selciati di tante città europee. Il loro compito è quello di ricordare anche al passante più distratto che proprio lì, a pochi metri, hanno vissuto vittime di una violenza cieca e sistematica, che essi non erano una massa indistinta ma uomini e donne con dei nomi, delle date di nascita e soprattutto di uccisione o di deportazione verso luoghi da cui non hanno fatto ritorno. Louise, la protagonista del romanzo “Veloce la vita” dell’autrice francese Sylvie Schenk (Keller, 2018), vive in un’epoca precedente di decenni quella in cui, alla fine del Ventesimo Secolo, le pietre d’inciampo sono state inventate. Eppure la sua traiettoria esistenziale è destinata suo malgrado a inciampare continuamente nella Storia. Una storia recente e per molti versi ancora attuale, che però lei vorrebbe semplicemente continuare a schivare perché non intralci i suoi piani. Louise è giovane, lascia le montagne tra cui è cresciuta felicemente ma fin troppo costretta nelle dinamiche medioborghesi della famiglia, certamente più di quanto la sua febbre di vita le consenta di sopportare. L’università le fornisce la migliore occasione di fuga, verso una Lione che negli anni ’60 appare in pieno fermento sociale e culturale, piena di novità come il jazz che entusiasma Louise perché diverso da qualunque cosa abbia ascoltato. L’incontro con la città non è un idillio immediato per Louise, che non cessa di rimpiangere l’immediatezza del contatto con la natura alpina che si è lasciata alle spalle; al contrario, la socialità cittadina ha regole e dinamiche che le paiono artificiose e assurde, finché a fornirle la porta d’accesso sarà un gruppo di giovani, perlopiù studenti come lei, che hanno scelto come luogo di ritrovo un club musicale. Anche se Louise non lo immagina, quelle amicizie segneranno il suo futuro: l’amica Francine, guida (ben poco spirituale) alle abitudini cittadine; e soprattutto Henri e Johann. Il primo, pianista jazz dal carattere ostico e difficilmente decifrabile come la sua musica, le mostrerà una Lione ben diversa da quella che lei sta vivendo: la città occupata dall’esercito nazista, del boia Klaus Barbie, di sevizie, torture e sparizioni di massa; quella che ha incarnato il cuore pulsante dell’indomabile Resistenza francese cui i genitori di Henri hanno dedicato la loro vita fino al sacrificio supremo. Sylvie è sopraffatta da tanta durezza, dall’incapacità di Henri di liberarsi dai suoi fantasmi e di vivere il presente, finché la difficoltà di comunicare porta la relazione al punto di rottura. Sarà solo a quel punto che Sylvie noterà il fascino dell’alterità rappresentato da Johann, studente tedesco temporaneamente a Lione grazie proprio a quei progetti di scambio (ben prima che l’Erasmus facesse la sua comparsa) volti a favorire una reciproca conoscenza e comprensione, e in definitiva quella riconciliazione che Henri condanna senza appello come prematura. La decisione di seguire Johann in Germania sarà però fonte della riscoperta di una diffidenza antitedesca che covava anche sotto l’apparente moderazione della sua famiglia. Eppure, “la condivisione dei valori borghesi prenderà il sopravvento sulle divisioni tracciate dalle frontiere”, e Sylvie inizierà una nuova vita tra i “nemici” di un tempo, che assumono le sembianze tutt’altro che minacciose della sua nuova famiglia d’adozione. Colti, di buon gusto, persino francofili con buona padronanza della lingua, i genitori di Johann sembrano quanto di più lontano da quel passato che paradossalmente Louise non riesce a schivare nemmeno nella sua veste di insegnante di francese in Germania: al contrario, è ormai giunta l’epoca della presa di coscienza collettiva, in cui le capita di trovare le sue giovanissime studentesse in lacrime dopo la visione di film e documentari sui crimini con cui i “loro padri” hanno insanguinato l’Europa e di cui si erano ben guardati di informarle. Il definitivo inciampo con la storia arriverà per Louise nel modo più amaro, a intaccare proprio il prestigio di quella nuova famiglia che l’ha accolta a braccia aperte. Oltre quella soglia non la attende nessuna impossibile riconciliazione ma piuttosto la consapevolezza che ignorare volutamente il passato di chi si ha accanto, sia esso un singolo individuo o una collettività, conduce fatalmente a una conoscenza mutilata e quindi falsa. “Veloce la vita” è dunque un romanzo fortemente autobiografico e personale, che non per questo rinuncia a lanciare un implicito messaggio di allarme agli europei di oggi, smemorati e noncuranti del loro terribile passato e dunque perennemente a rischio di ripeterne le aberrazioni.