Un nuovo Contratto sociale per l’Europa?
Il 9 maggio scorso, in occasione della festa dell’Europa, è stata lanciata la Conferenza sul futuro dell’Europa, con un anno esatto di ritardo, causa pandemia, rispetto alla tempistica originariamente prevista in coincidenza con il settantesimo anniversario della Dichiarazione Schuman, prima base ideale quest’ultima del progetto politico europeo. La Dichiarazione sottoscritta nell’occasione di cui sopra dai tre alti vertici della UE, membri della presidenza congiunta della Conferenza sul futuro dell’Europa, (David Sassoli per il Parlamento europeo, António Costa per il Consiglio, Ursula von der Leyen per la Commissione), porta in testa un titolo che, nella sua lunga specificazione, già di per sé ne delinea le ambiziose linee programmatiche: Dichiarazione comune sulla Conferenza sul futuro dell’Europa. Dialogo con i cittadini per la democrazia. Costruire un’Europa più resiliente. Attraverso i lavori della Conferenza in oggetto, che dovrebbero concludersi entro la primavera del 2022, si intende aprire un nuovo spazio di discussione e dare vita a un processo “dal basso verso l’alto” in cui i cittadini possano essere protagonisti ed esprimere la loro opinione su ciò che si aspettano dall’Unione europea, sulle sue priorità, e contribuire alla definizione delle future politiche dell’Unione di cui occorre migliorare la resilienza. Gli eventi e i dibattiti organizzati nel quadro della Conferenza in tutta l’Unione, con il supporto di una piattaforma digitale multilingue e interattiva, si svolgeranno a diversi livelli: ad esempio a livello europeo, nazionale, transnazionale e regionale. Essi dovranno promuovere la partecipazione di tutte le parti interessate e della società civile nel suo complesso, mirando a rispecchiarne le diversità e a coinvolgere in particolare i giovani. Sulla scorta dell’agenda strategica del Consiglio europeo, degli orientamenti politici 2019-2024 della Commissione europea e dei problemi suscitati dalla pandemia Covid-19, la Dichiarazione comune evidenzia come ai cittadini debba essere data la possibilità di esprimersi su importanti questioni che li riguardano e che vengono elencati come segue, relativamente alle azioni previste: “La costruzione di un continente sano, la lotta contro i cambiamenti climatici e le sfide ambientali, un’economia al servizio delle persone, l’equità sociale, l’uguaglianza e la solidarietà intergenerazionale, la trasformazione digitale dell’Europa, i diritti e i valori europei, tra cui lo Stato di diritto, le sfide migratorie, la sicurezza, il ruolo dell’UE nel mondo, le fondamenta democratiche dell’Unione e come rafforzare i processi democratici che governano l’Unione europea.” Larga parte dei temi richiamati viene evidenziata già in apertura della Dichiarazione comune, dove i concetti di “sfida” e “resilienza”, (poi costantemente e reiteratamente evocati come una sorta di mantra nel corso del documento), vengono posti quali vessilli intorno ai quali i cittadini europei sono chiamati a raccogliersi, nel segno di un’Europa che aspira al ruolo di protagonista nello scenario mondiale e globale contemporaneo. L’ambizioso progetto complessivo sopra delineato, quale terreno di riferimento per tutti i soggetti partecipanti alla Conferenza, è tale da far tremar le vene ai polsi di ogni osservatore che si preoccupi anche di coniugare analisi teorica delle diverse “sfide” in campo e proposte relative, con la concreta prassi politica e istituzionale della UE e degli Stati che ne fanno parte. La prima domanda che sorge spontanea è la seguente: chi si darà realisticamente carico dei risultati che matureranno nell’ambito della Conferenza e che confluiranno nella presentazione finale di una relazione alla presidenza congiunta tra Commissione, Parlamento europeo e Presidenza di turno del Consiglio UE? La risposta che viene delineata non fa che fotografare il presente dal punto di vista delle istituzioni europee e anzi sembra chiudere ogni spazio a qualsiasi volontà di riprogettare o almeno ripensare le stesse: “Le tre istituzioni – si specifica bene nella Dichiarazione comune a firma Sassoli, Costa, von der Leyen – esamineranno rapidamente come dare un seguito efficace a tale relazione, ciascuna nell’ambito delle proprie competenze e conformemente ai Trattati.” Del resto sembra acclarato che il Consiglio abbia categoricamente escluso, relativamente alla Conferenza, l’eventualità che quest’ultima possa poi portare a una revisione dei Trattati. Da parte loro un gruppo di dodici Stati europei (composto dagli otto paesi che fanno parte della cosiddetta “Nuova Lega Anseatica”, ai quali si sono aggiunti Austria, Repubblica Ceca, Slovacchia e Malta) a marzo ha dichiarato la volontà comune di escludere ogni possibilità di obblighi vincolanti derivanti dalla Conferenza e in primo luogo una riforma dei Trattati. Eppure, nel documento congiunto presentato, sotto forma di non paper, al Consiglio europeo già nel novembre 2019 da Macron e Merkel, oltre all’elenco delle tematiche generali della futura Conferenza, si faceva esplicito riferimento alla necessità che nell’ambito di quest’ultima si identificassero in concreto le riforme da mettere in pratica, indicando quali modifiche istituzionali e giuridiche fosse necessario attuare, inclusa la possibilità di modificare i Trattati. Obiettivo di fondo è quello di promuovere democrazia e valori europei e assicurare un più efficiente ed efficace funzionamento delle istituzioni della Unione, rendendo l’Europa più salda e unita. Quali altri paesi si dimostreranno disposti a seguire Parigi e Berlino ora che la Conferenza sul futuro dell’Europa è già stata avviata?
Sì o no a un ampio processo di riforma delle istituzioni europee che possa allargarsi ai Trattati? Questa appare la sfida prioritaria in campo. Un barlume di speranza nel segno di una prospettiva ampia sembra forse aprirsi nella stessa Dichiarazione comune Sassoli-Costa-von der Leyen, laddove si afferma (e mi permetto di rilevare in grassetto la frase che potrebbe suonare come apertura nella direzione appena richiamata): “La politica europea deve fornire risposte inclusive ai compiti che la nostra generazione è chiamata a realizzare, ossia compiere la transizione verde e quella digitale, rafforzando nel contempo la resilienza dell’Europa, il suo contratto sociale...“
* Già professore ordinario di storia delle dottrine politiche- Università di Bologna
di Francesco Provinciali *
di Raffaella Gherardi *