Ultimo Aggiornamento:
27 marzo 2024
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Sos intelligenza artificiale e mafie digitali

Francesco Provinciali * - 27.05.2023
Mafia digitale

Un paio di notizie apparse sui media in questi giorni hanno portato alla ribalta un tema di grande attualità sul quale scienziati, addetti ai lavori, esperti di etica della comunicazione e tecnici dei social esprimono da tempo opinioni e punti di vista, con analisi e valutazioni non sempre collimanti.

Si tratta di un’area vasta di argomenti che spaziano dal web, all’intelligenza artificiale, all’uso e all’abuso dei social che per vastità di utilizzo, pluralità di linguaggi, penetrazione pervasiva nei comportamenti umani, prospettive di espansione coinvolgono un target estremamente lato di utenti creando i presupposti oggettivi per una sorta di mutazione culturale profonda e incisiva determinata dall’uso massivo delle tecnologie e radicalmente slegata dai modelli tradizionali di trasmissione del sapere e di ricontestualizzazione spazio-temporale delle relazioni interpersonali.

Hanno destato vasta eco (che pare già “assorbita” come un episodio quasi emendabile) le dimissioni da GOOGLE dopo dieci anni di full-immersion di Geoffrey Hinton, 75 anni, psicologo cognitivo e scienziato informatico, considerato il padrino dell’intelligenza artificiale, pioniere della ricerca sule reti neurali e sul “deep learning”, vincitore nel 2018 del prestigioso premio ‘ Turing Award’. Ha lasciato con una motivazione che fa riflettere: “i programmi di IA hanno fatto passi da gigante e ora “sono piuttosto spaventosi. Al momento i robot non sono più intelligenti di noi ma presto potrebbero esserlo”, ha affermato alla BBC prefigurando scenari distopici impensati persino dalla fantascienza. “Il chatbot potrebbe presto superare il livello di informazioni di un cervello umano, mentre ‘cose’ come GPT-4 oscurano una persona nella quantità di conoscenza generale”. Un ripensamento così radicale per uno scienziato ha quasi il significato etico di una riconversione: il messaggio che Hinton ha lanciato è che “attori cattivi” potrebbero usare l’IA per “cose cattive”. “Potete immaginare un cattivo attore come Putin che decida di dare ai robot la capacità di creare propri sott-obiettivi, come quelli di ottenere più potere”. Un allarme che viene a ruota di quello lanciato da oltre mille dirigenti e ricercatori tra cui Elon Musk, dopo la diffusione di ChatGpt, che hanno chiesto una moratoria di almeno sei mesi nello sviluppo dell’IA e delle sue applicazioni “per i profondi rischi alla società e all’umanità”.

George Orwell e Aldous Huxley sono già preistoria sullo sfondo delle rappresentazioni distopiche.

Le dimissioni da GOOGLE di Geoffrey Hinton non devono cadere nel vuoto, così come le loro motivazioni. Toccherebbe alla politica come play maker di ‘regole del gioco efficaci’, per usare un’espressione del Commissario UE Paolo Gentiloni, occuparsi della materia e delle sue ricadute pratiche ed esistenziali nella vita di tutti noi. Ed in effetti il Parlamento Europeo ha dato il via libera all’AiAct, il documento che fissa le nuove norme europee per l’intelligenza artificiale, per favorire e guidare uno sviluppo umano-centrico ed etico dell’IA. L’incipit parte con il divieto di utilizzo di tecnologie a IA per il riconoscimento facciale nei luoghi pubblici nell’UE.

Vedremo se il seguito sarà coerente.

Una seconda notizia di questi giorni desta ulteriori motivi di preoccupazioni: l’infiltrazione della malavita e segnatamente delle mafie nei social e nel web, attraverso la diffusone di contenuti e linguaggi espliciti o occultati

E’ quanto emerge dal Rapporto "Le mafie nell'era digitale", stilato dalla Fondazione Magna Grecia e presentato nella sala stampa della Camera dei Deputati, da Antonio Nicaso, docente di Storia della criminalità organizzata presso la Queen's University in Canada, Marcello Ravveduto, professore di Public and digital history alle Università di Salerno e di Modena-Reggio Emilia e responsabile della ricerca, e Nicola Gratteri, procuratore della Repubblica di Catanzaro. L’indagine ha analizzato 20mila commenti a video YouTube, 90 GB di video TikTok (per un totale di 11.500 video) e 2 milioni e mezzo di tweet: il linguaggio delle mafie si esprime attraverso la musica, le macchine extra-lusso, i gioielli kitch, il "presta libertà" dedicato a chi è in galera, affinché veda presto la luce del sole, alla mitizzazione dei grandi boss del passato, dagli emoticon a forma di cuore o di leone, di fiamma o di lucchetto per dimostrare sentimento, coraggio, e omertà, agli hashtag per inserirsi nella scia dei contenuti virali su social network come Facebook, Instagram, Twitter e oggi soprattutto Tik Tok.

Dall’uso ludico dei social si passa a vere e proprie strategie di sponsorizzazione, comunicazione esplicita e affiliazione, “fino ad arrivare, con lo sbarco in Rete della nuova generazione criminale, alla creazione dell''interreale mafioso'. Ovvero di una continuità tra quanto accade in rete e il mondo reale". I social diventano luogo di minaccia e controllo del territorio, i brand e i prodotti sponsorizzati utili indicatori in mano agli influencer che li usano per intercettare nuovi adepti o nemici da colpire.

In particolare con TikTok si crea in rete una sorta di “Grande fratello mafioso”. Un business per la malavita e una minaccia palese o sottotraccia per l’indotto diseducativo e criminale che può influenzare specialmente i giovani frequentatori del web.