Racconto di una triste visita audioguidata
Non ci stancheremo mai di ripetere quanto sia importante conservare il patrimonio storico-artistico dell'Italia. Ma quel che conta, o che dovrebbe contare, non è solo tramandare ai nostri successori i tesori dei tempi passati; è anche necessario valorizzarli, per mettere in luce la loro importanza e il loro posto nella storia dell'umanità. Quindi non basta tenere in piedi i monumenti se poi non siamo in grado di raccontare agli altri (o a noi stessi) il valore di quelle opere. In questo senso, ho subito una grossa delusione lo scorso fine settimana durante la mia visita al Palazzo Piccolomini di Pienza, nel senese.
Erano anni che volevo varcare le sue porte, affascinato come tanti dalla figura di Enea Silvio Piccolomini, il dotto umanista più ricordato con il nome che scelse per salire al soglio pontificio, Pio II (1405-1464). Quando sono arrivato mi hanno informato che la prima visita disponibile era dopo un quarto d'ora, poiché l'accesso al palazzo non è libero e c'è una guida che conduce il gruppo. Nell'attesa, ci hanno invitato a visitare il cortile e i giardini, dai quali si può godere di una bellissima vista della Val d'Orcia, un panorama ineguagliabile e decisivo per papa Piccolomini nello scegliere il luogo dove erigere il palazzo.
Il primo impatto con la residenza papale, dunque, non delude, anzi, offre al visitatore un primo assaggio dell'esclusività del posto in cui ci si trova, che combina in un unico punto storia, arte, letteratura e natura. In più, in questo periodo, nelle diverse stanze intorno al chiostro c'è una piccola mostra dedicata all'ultimo conte Piccolomini, un buon modo per stuzzicare la curiosità per il luogo e le sue vicissitudini storiche. Purtroppo, questa curiosità viene subito meno appena parte la visita “guidata”. Una volta radunato il gruppo, l'accompagnatore ci fa salire le prime scale, dopodiché ci invita semplicemente a premere il primo tasto dell'audioguida e ad ascoltare la registrazione, così come nelle sale successive. Sorge spontanea la domanda: con gli stessi soldi che si investono nell'accompagnatore, non si potrebbe pagare una vera guida? Al di là della qualità dei contenuti, di cui parlerò in seguito, è di una tristezza disarmante per un appassionato effettuare una visita a un luogo così importante in un modo così impersonale, così riduttivo.
Ma se è deludente dover fare la visita con l'audioguida attaccata all'orecchio, è ancora più sconfortante la qualità dei contenuti della registrazione, un banale e superfluo catalogo delle opere presenti in ogni sala: “sulla parete di destra potete vedere... una credenza in legno di origine toscana della prima metà del Cinquecento... un ritratto di Justus Sustermans...”. Una collezione di “schede” che non solo il visitatore dimentica pochi secondi dopo averle ascoltate ma che impedisce a chi ascolta di capire quali fra tutti gli oggetti che ha davanti agli occhi sono più interessanti o di maggior qualità. L'audioguida è così invadente e così banalizzante che sostituisce persino gli occhi di chi la ascolta: “a sinistra vediamo una finestra... al centro della stanza troviamo un letto...”. Tuttavia, poiché tutto può peggiorare, la registrazione che si ascolta quando si arriva alla biblioteca che contiene alcuni dei volumi che appartennero a Pio II è senza dubbio la prova di quanto siano diversi i concetti del “conservare” e del “valorizzare”, così come quelli del “tenere” e dell’“apprezzare”. Perché quando si entra nella biblioteca, arricchita nei secoli successivi con opere preziose, la narrazione dell'audioguida si diletta nel raccontarci i particolari dei mobili che contengono i libri e dei diversi ornamenti della stanza. Non una parola sulle edizioni omeriche presenti, non un minimo accenno alle opere in greco, non un commento sulla presenza o l'assenza di determinati autori. Niente.
Il sentimento di solitudine che ti invade quando vieni costretto ad abbandonare quella stanza perché il tempo del messaggio dell'audioguida è finito è inenarrabile, direi quasi inumano.
Valgano queste righe per soffermarci un attimo sull’importanza del nostro patrimonio, che non dobbiamo solo conservare come se fosse un cimelio ma di cui dobbiamo servirci per spiegare a noi stessi e alle prossime generazioni da dove veniamo e perché siamo chi siamo. Non serve a niente sapere che quella sedia da montare non è da cavallo ma da cammello se poi nessuno ci spiega l'importanza dell’Oriente nella politica del papa che indisse l'ultima crociata, una parola che sembra evocare unicamente il Medioevo e che invece ha occupato per tanti anni i pensieri di uno dei papi più moderni di tutti i tempi. La storia in generale, ma soprattutto la storia dell'arte, deve andare al di là della “scheda”, al di là dell'autore e del dato privo di contesto. Altrimenti lasciamo ai nostri figli una montagna di scatole bellissime ma vuote, una collezione di dati sotto i quali non c'è una sola briciola di vera conoscenza. E luoghi come il Palazzo Piccolomini dovrebbero spronare chiunque a conoscere di più la storia, mentre una simile fruizione del luogo ci allontana tutti con l’impressione di aver potuto vedere soltanto una debole ombra di quello che fu, è e sarà.
* "Fernando Algaba Calderón è uno storico dell'Arte spagnolo specializzato in Rinascimento in Italia"
di Duccio Basosi *
di Fernando Algaba Calderón *