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24 aprile 2024
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Politica e diritto: problemi aperti

Luigi Giorgi * - 19.09.2018
Nave Diciotti

Fra i caratteri, e i problemi, che la nuova stagione politica italiana ci pone mi sembra ce ne sia uno che va oltre la semplice divisione destra - sinistra o populismo - democrazia (seppur presenti nel dibattito politico/culturale del nostro tempo), per riproporci, in tutta la sua forza, la classica contrapposizione fra il diritto e la politica: una contrapposizione/tensione che dai tempi di Antigone, seppure proposta in modi diversi, contraddistingue la politica occidentale. E non nel senso del semplice contrasto fra magistratura e governo, che pure ne rappresenta un epifenomeno, cui è stata ridotta recentemente.

E le vicende italiane di questi tempi, nella loro tragicità e drammaticità, rappresentano la spia di un confronto fra diritto, inteso come produzione legislativa e rispetto delle norme stesse, e politica, declinata secondo la voce della legittimità data dal voto e dalla capacità di far discendere da questo una sovranità riguardo alle vicende statali, nazionali e anche extra nazionali, relative agli accordi internazionali che regolano la politica estera e non solo.

Certo servirebbe Kelsen, o Schmitt, per dipanare la questione: ma gli eventi di questa estate dal caso della nave “Diciotti” a quello tragico del cosiddetto Ponte Morandi sono lo specchio, per certi versi, di questa tensione e di come essa venga cavalcata, ad arte, e con più o meno convinzione, dai protagonisti politici.

Il problema non è dato, solo, dal fatto che si governi anche attraverso una sorta di “proclami” sui social network, ma anche da quello che i problemi, i cosiddetti “casi d’eccezione” (parafrasando Schmitt), vengono affrontati oltre i parametri e i recinti propri del diritto dato, in cui tutti bene o male attualmente si riconoscono, per saltare direttamente alle conseguenze e alle decisioni di carattere politico.

Il dato in questione non rappresenta un semplice stimolo polemico che l’opposizione può giocare verso il governo o che il governo può utilizzare viceversa. Esso raffigura, e prefigura, anche un limite che si potrebbe dire sistemico, alla possibilità del cittadino e di qualsivoglia altro soggetto di “opporsi”, qualora lo ritenesse opportuno, in nome delle proprie convinzioni ed ideali, ad un provvedimento legislativo, in quanto questo molte volte viene eluso, nella sua formalità, che è anche contenuto, e nella sua sostanziale capacità regolatrice, sulla spinta della forza politica data dal governo e dal popolo che diviene l’unica capacità legittimante, in grado di fornire un passepartout in direzione di tutti i problemi.

Non penso che ciò sia qualcosa di episodico, né di contingente, ritengo, altresì, che conservi tutti i crismi della secolarità del confronto, che affonda nella “notte dei tempi”. Ma quello che sta avvenendo oggi è “caratterizzante” in quanto una nuova classe dirigente agendo in forza di un legittimo mandato politico, suffragato da un ampio consenso (le ultime rilevazione statistiche attestano l’attuale maggioranza di governo attorno al 60% dei consensi), sta creando una nuova forza del diritto, di un nuovo diritto quasi non codificato, in grado di sfuggire ad ogni regolazione e di essere mutato a seconda delle opportunità e delle convenienze politiche.

Cerco di precisare: per cercare di cogliere il problema nella sua complessità. Può anche essere valido e legittimo che una volontà politica prevalga su un ordinamento vigente, ma in tale caso quest’ultimo va cambiato (dentro i nostri basilari e fondamentali parametri costituzionali e gli accordi internazionali), se si è in grado di farlo e se ne ha la forza e la volontà politica, e non si mira solo a “blandire” l’inefficienza e inefficacia degli ordinamenti per spingere poi al “limite” la personalizzazione di una idea e di una forma di prassi e di elaborazione politica. Non si può continuare a contemplare e ad agire con una volontà politica a dispetto di un ordinamento legislativo, si crea così una sorta di “cortocircuito” che alimenta anche l’idea che la democrazia rappresentativa sia inconcludente e non sia più sufficiente a comprendere, a coadiuvare e a risolvere le varie necessità sociali.

Un tale discorso ha anche delle ricadute, anzi la “nutre” in qualche misura, relativamente alla previsione che qualche tempo fa era stata fatta e cioè che il Parlamento fra qualche tempo (in un futuro non delimitato) esaurirà la propria funzione. Perché il discorso, anche in questo caso, non può essere circoscritto alla sola boutade futuribile, ma va colto all’interno di una visione che, con ogni probabilità, va oltre la divisione dei poteri propria dell’illuminismo e dell’occidente democratico, facendo assorbire il legislativo dall’esecutivo (restando per il momento fuori il giudiziario) e ponendo quest’ultimo, in forza di una sorta di legittimità data dalla sovranità fornita dal voto al di là di tutto, quasi ex legibus solutus.

Ecco il problema che si ripropone da tempo e che i giorni nostri ci pongono con pervicacia all’attenzione, fin dove può arrivare il potere dato dalla legittimità determinata dal voto, come si configura quest’ultima, dove conosce, se li riconosce, i suoi limiti?

Forse posto così può sembrare soltanto un problema di limite, ma probabilmente dentro questo c’è una questione di conoscenza e di discernimento di ambiti e competenze. Non si tratta soltanto della, presunta, virtuosità pedagogica del limite in quanto tale, ma della capacità di proporre una visione di governo che abbracci tutti gli interessi, tenendo preminente le prerogative della persona come soggetto politico e giuridico, come è indicato tra l’altro dalla Costituzione.

Mi fanno riflettere, però, quegli ordinamenti dove la sovrapproduzione legislative determina il caos delle competenze da un lato, e dall’altro dove il potere- esecutivo quasi “assorbe” il legislativo, lo modifica, e lo elude “avvicinandolo” alle proprie esigenze. Questo è un problema non solo per tutto l’assetto istituzionale, ma soprattutto per il cittadino, quello disegnato, riconosciuto ed in qualche misura salvaguardato dall’articolo 2 della Costituzione.

 

 

 

 

* Studioso di storia contemporanea. Attualmente collabora con l’Istituto Luigi Sturzo.