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Aspettando Godot. Lo stallo parlamentare nell’elezione dei giudici costituzionali

Maurizio Cau - 25.10.2014
Corte Costituzionale

Che la nomina da parte politica dei giudici della Corte Costituzionale sia un terreno di scontro non è una novità. Da un certo punto di vista la litigiosità interna alle forze parlamentari accompagna la vita della Consulta fin dal tormentato percorso legislativo che ha portato alla sua istituzione. L’approvazione della legge costituzionale n. 1/1953 e della legge ordinaria n. 87/1953, i due atti normativi che diedero struttura e contenuto a un organo che nella storia italiana rappresentava un’assoluta novità, fu raggiunta solo dopo lunghi e accesissimi scontri tra le forze politiche, tanto che Piero Calamandrei polemizzò apertamente con quella forma di “ostruzionismo della maggioranza” che, a suo dire, ostacolava il processo attuativo del disegno costituzionale del ’48.

Certo, si dirà, lì si trattava di individuare le norme di funzionamento di un organo il cui ruolo istituzionale era in molta parte da definire, mentre l’estenuante improduttività manifestata dalle forze parlamentari in queste settimane riguarda solo la nomina di due giudici della Consulta, e dunque è il segno di una inadeguatezza politica assai più marcata. Eppure questo stallo non è affatto una novità. Si pensi al caso emblematico di Vezio Crisafulli, giurista tra i più importanti del dopoguerra, intorno alla cui nomina PCI e DC ingaggiarono a metà degli anni Cinquanta una lotta di quasi tre anni che si concluse con la sua (momentanea) esclusione dal collegio dei giudici costituzionali. O si pensi al caso dell’elezione di Annibale Marini nel 1997, che arrivò dopo più di un anno e mezzo di tentativi falliti, proprio come negli anni seguenti successe per l’elezione di De Siervo, Vaccarella, Frigo, avvenute dopo operazioni parlamentari tutt’altro che celeri e lineari.

Vale la pena ricordare, inoltre, che la maggioranza richiesta per la nomina dei giudici da parte del Parlamento è particolarmente alta (due terzi per i primi due scrutini, tre quinti per i successivi). Trattandosi di una maggioranza ancor più qualificata rispetto a quella necessaria per la nomina del Capo dello Stato – il che la dice lunga sul valore fondamentale che la Consulta ricopre nell’ordinamento italiano –, non ci si può stupire di fronte ai ritardi della macchina parlamentare.

Eppure il panorama restituito dallo stallo politico di queste settimane è particolarmente desolante. La bizzarria dello scenario attuale riguarda anzitutto il numero di fumate nere succedutesi in un arco di tempo abbastanza ristretto. In termini assoluti quattro mesi per la nomina di competenza parlamentare di due giudici della Corte non rappresentano un tempo particolarmente ampio, ma venti scrutini infruttuosi disegnano senz’altro un quadro, per dirla con le parole del presidente Napolitano, ricco di “negatività diffuse nei comportamenti politici, sociali, istituzionali” della classe di governo.

In secondo luogo siamo in un tempo in cui tanta inconcludenza non viene più compresa né accettata da un’opinione pubblica sempre meno disposta a tollerare lungaggini e inadeguatezze dei propri politici. Di qui la reazione dello stesso Napolitano, che non si è limitato a stigmatizzare i ritardi e gli avvitamenti infruttuosi dell’azione parlamentare, ma ha provveduto ad anticipare i tempi della nomina dei due giudici di sua competenza. Si tratta di un’accelerazione in parte irrituale, poiché tradizionalmente le nomine presidenziali hanno la funzione di equilibrare e omogeneizzare la composizione della Corte, e dunque seguono le scelte fatte dalle Camere. Con l’indicazione di Daria De Pretis e Nicolò Zanon, Napolitano non ha solo inteso evitare il rischio di una pericolosa vacanza interna alla Corte (il quorum minimo per il suo funzionamento è di 11 giudici su 15), ma ha voluto richiamare con vigore il Parlamento ai propri doveri, sottolineando con pena i contorni di una situazione che “va a danno delle stesse prerogative costituzionali delle Camere”.

In queste ore dal sentore beckettiano si moltiplicano le indiscrezioni circa i possibili scenari capaci di portare a una soluzione della questione. Staffette, accordi PD-M5S, “curricula attentamente esaminati” da parte del patron di FI; si sente un po’ di tutto. Al netto della retorica e della strategia politica di bassa bottega, nei prossimi giorni comprenderemo se le forze politiche saranno realmente in grado di far fronte alle attese di un’opinione pubblica assai meno disposta di un tempo ad accettare i temporeggiamenti e l’indolenza di una classe politica non certo all’altezza della situazione. Godot dovrà pure arrivare, prima o poi.