Ultimo Aggiornamento:
18 maggio 2024
Iscriviti al nostro Feed RSS

L'analisi del sabato. Note a margine del dibattito sulla riforma del Senato

Luca Tentoni * - 22.08.2015
Corte costituzionale

Il dibattito sulla riforma costituzionale sembra ormai circoscritto ad alcuni punti essenziali, fra i quali la disputa sull'elezione diretta o indiretta dei senatori. Si tratta di questioni senza dubbio importanti, che hanno risvolti politici immediati: infatti, il voto di Palazzo Madama sulla riforma del bicameralismo potrebbe provocare - già fra poche settimane - contraccolpi su governo e maggioranza, ridisegnando rapporti di forza (nel Pd) o modificando i confini della coalizione di governo (in modo strutturale anche se non necessariamente organico, oppure occasionalmente e senza ripercussioni sul quadro generale e sulla stabilità dell'Esecutivo); per contro, il governo potrebbe superare la prova senza subire eccessivi scossoni. Alle dispute molto contingenti sugli equilibri politici di brevissimo periodo si affiancano quelle sul merito della riforma. La discussione sulla rappresentatività dei nuovi senatori si è arricchita di contributi, sul piano della filosofia politica e del diritto costituzionale, degni di un passaggio storico importante come la revisione di parti essenziali della Carta Repubblicana del 1947. Certo, sovente i frutti dell'elaborazione teorica e dottrinale sono stati posti in secondo piano da un confronto eminentemente politico non privo di asperità che poco hanno a che vedere con l'atto che il Parlamento si accinge a compiere. La stessa presentazione di centinaia di migliaia di emendamenti non è stata una semplice operazione di immagine ma ha obbedito ad una logica "di manovra" (il tentativo della Lega di: 1) compattare le opposizioni sulla sua linea d'intransigenza, cercando di impedire il "soccorso azzurro" a Renzi; 2) sovrastare con la quantità il merito del dibattito e delle proposte emendative presentate da altri gruppi, minoranza Pd in primo luogo; 3) creare una situazione di blocco, assicurando al Carroccio una forza negoziale verso la maggioranza e gli altri partiti che il peso numerico dei propri senatori non gli avrebbe consentito di ottenere). Logica che mal si concilia con lo spirito che dovrebbe animare un dibattito così importante. In generale, l'uso politico del confronto sulle riforme sembra aver reso ben poco onore sia al merito del testo e delle controproposte presentate, sia alla Costituzione repubblicana. Eppure c'era un aspetto politico che avrebbe dovuto essere rivalutato nel dibattito: riguarda non l'architettura del nuovo Senato e neppure la "fonte" di legittimazione e di selezione dei suoi componenti, ma il ruolo dell'appartenza partitica oppure territoriale che essi decideranno di far prevalere nell'"interpretazione" della riforma, una volta che sarà stata (verosimilmente) approvata, confermata dal popolo e attuata. In altre parole - che siano essi eletti direttamente, oppure con una soluzione di compromesso legata all'elezione dei consigli regionali, o soltanto dai Consigli medesimi – conterà molto lo "spirito" (potremmo definirlo "l'abito politico") col quale si darà vita alla prima esperienza del nuovo Senato (che, per prassi, farà certamente stato negli anni successivi, tanto più considerando che non si scioglierà mai ma sarà un organo continuo a parziale rinnovo). Sarebbe interessante dibattere, perciò, su quanta "libertà" concederanno le forze politiche ai nuovi senatori e quanta gliene accorderanno gli enti territoriali di provenienza. Del resto, se il Senato "rappresenta le istituzioni territoriali", bisogna chiedersi quale rapporto prevarrà fra quello di appartenenza dei singoli ai partiti e quello di fedeltà alle realtà locali. Qui il tema riguarda il piano politico e fattuale, nonchè una necessità organizzativa. Palazzo Madama avrà i suoi gruppi parlamentari, ma come saranno composti? La risposta più semplice potrebbe essere: come ora, dagli appartenenti ai rispettivi partiti. Ma in un Senato che vorrebbe somigliare ad una Camera federale (in un quadro che tuttavia non appare più "federalista" di quello delineato dalla riforma del titolo V d'inizio secolo) pur essendo ben diverso per funzioni e poteri dal Bundesrat e dal Senato degli USA, è politicamente possibile che le singole questioni siano dibattute seguendo logiche di appartenenza e di schieramento, oppure si creeranno, a seconda delle circostanze (o col tempo, chissà, in modo strutturale e prevalente) intergruppi facenti capo a realtà geografiche ben precise? In altre parole, non potrebbe accadere che si creino assi privilegiati trasversali a difesa o a sostegno di particolari esigenze macroregionali? I consiglieri di una regione eletti senatori non potrebbero finire per incorrere in un "conflitto d'interessi" fra il loro ruolo nazionale e quello locale, dando vita, perciò, ad una dialettica non fondata sui gruppi di provenienza politica ma su quelli territoriali? Il ruolo più o meno "politico" dei senatori andrebbe poi riguardato non nel caso di una coincidenza fra il "colore" di Montecitorio e Palazzo Madama, ma nell’eventualità di una dissonanza: gli strumenti (non moltissimi, per la verità) del Senato potrebbero servire per costituire un'opposizione politica alla maggioranza prevalente nell'altra Camera? Di tutti questi quesiti di natura "pratica" (se vogliamo definirla così) non c'è pressochè traccia nei dibattiti quotidiani sulla riforma costituzionale, così come si sottolinea poco - almeno a livello di confronto politico – che, restando ferma la procedura bicamerale di approvazione delle leggi costituzionali e di revisione della Costituzione, è molto probabile che Palazzo Madama non conceda mai il suo placet ad iniziative che possano ridurre i suoi poteri o quelli degli enti locali, semmai spingendo in direzione opposta e creando una sorta di "paradosso delle riforme" rinforzato. Così non avremmo più solo la difficoltà di far votare dai senatori la diminuzione del proprio ruolo, ma anche quella di convincere i Consigli regionali (ai quali, almeno per consonanza, i senatori dovrebbero considerarsi molto legati) ad eventuali future attenuazioni dell'assetto centro-periferia delineato dal ddl in discussione. Probabilmente gli aspetti che abbiamo evidenziato sono dettagli rispetto a passaggi più importanti, attuali e mediaticamente "appetibili" come quelli in discussione in queste settimane, ma va ricordato che le istituzioni sono un abito (si veda la presidenza della Repubblica, per esempio): mutano natura a seconda di chi lo indossa.

 

 

 

 

* Analista politico e studioso di sistemi elettorali

La serie di Analisi del sabato" che trattano le regionali 2015 sono dal 13/06/15 scaricabili gratuitamente in ebook cliccando sull'immagine della copertina che appare nel nostro banner.