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13 aprile 2024
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L'analisi del sabato. L’incognita centrista

Luca Tentoni * - 05.09.2015
Pier Ferdinando Casini e Angelino Alfano

Si parla pochissimo del ruolo dei raggruppamenti centristi, eppure è grazie a loro che Renzi è a Palazzo Chigi e può permettersi di avere una larga maggioranza a Montecitorio e una - più risicata, ma dipende molto dalla minoranza Pd - a Palazzo Madama. Sul piano elettorale, il peso di Area Popolare-Alleanza popolare (Udc e Ndc) è pari a circa un decimo di quello del Pd, secondo molti sondaggi. Tuttavia, i voti di Casini e Alfano potrebbero essere decisivi non solo per il prosieguo della legislatura in corso, ma per l'esito delle prossime elezioni politiche. Se i rapporti di forza fra il Pd e le variegate componenti del centrodestra rimanessero all'incirca quelli delle regionali del maggio scorso, ci sarebbe da attendersi un ballottaggio fra il partito di Renzi e una "lista omnibus" da Alfano alla Meloni (passando per Berlusconi e Salvini). La collocazione futura del Ncd in particolare, tuttavia, non è affatto certa. Si discute, in queste settimane, se trasformare i gruppi centristi in una sorta di "nuova Margherita" alleata col Pd o se considerare questa esperienza di governo come eccezionale e transitoria, in vista del "ritorno all'ovile" in un centrodestra che non solo non è ancora in costruzione, ma neppure in stato avanzato di progettazione. C'è poi chi non disdegnerebbe di ripetere quanto già fatto dall'Udc nel 2008 e nel 2013 (in quest'ultimo caso, con Monti) cioè di correre da soli alle prossime elezioni, sperando di raccogliere i voti di chi è lontano da Renzi ma non è disposto a dare il proprio consenso ad un eventuale "listone" a trazione salviniana. C'è poi un fattore da non trascurare: tranne che sulle unioni civili, i centristi si sono trovati abbastanza a proprio agio col programma del governo Renzi, tanto che ormai non si può più definire l'Esecutivo come "necessitato" ma come una coalizione politica ben definita (anche se non irreversibile). Su tutto domina il “problema” della nuova legge elettorale, l'Italicum: se il meccanismo avesse attribuito il premio di maggioranza alla coalizione anzichè alla lista, i centristi (e in particolare il Ncd) avrebbero avuto tutto il tempo, fino allo scioglimento naturale o anticipato delle Camere, per cominciare a valutare le possibili alleanze. Ma - allo stato - il sistema lascia loro poche possibilità di manovra (salvo quella di "correre da soli" grazie al basso quorum - il 3% - per accedere al riparto dei seggi della Camera dei deputati). Se la situazione politica precipitasse ora, si andrebbe al voto col Consultellum, quindi senza coalizioni (o con coalizioni "tecniche"), ma se qualcuno creasse le condizioni per andare alle urne dalla seconda metà del 2016 in poi, i centristi dovrebbero scegliere in fretta se trovare un po' di spazio nella lista del Pd o nel "listone omnibus" del centrodestra. L'ipotesi di presentarsi separatamente equivarrebbe a relegarsi all'opposizione di ogni governo possibile: con i suoi 340 seggi su 630, la lista vincitrice a Montecitorio (qualora la riforma del bicameralismo andasse in porto) non avrebbe certo gran necessità del sostegno di 15-20 deputati centristi (a meno che a conquistare il premio non fosse il Pd e che, fra gli eletti, i deputati della minoranza del partito superassero le 30 unità). Poichè Alfano e gli altri non hanno intenzione di farsi trovare impreparati nel momento in cui la legislatura dovesse concludersi, si comincia a discutere delle possibili prospettive. Qui, però, iniziano i problemi, perchè - come narrano le cronache politiche - ci sono almeno tre correnti di pensiero, se non quattro: si va dalla maggiore vicinanza al Pd renziano al desiderio di aiutare Berlusconi a bilanciare con i voti centristi il peso della Lega di Salvini, in vista dell’ipotetica ricomposizione del centrodestra. Si tratta di una scelta difficile: se oggi il Ncd in particolare fosse obbligato a confluire nella lista del Pd o in quella guidata da Salvini e Berlusconi, probabilmente assisteremmo a dolorose divisioni nei gruppi centristi. Qualche scricchiolio, in effetti, si è già avvertito con l'uscita della De Girolamo e col diffondersi di voci (messe in giro ad arte o a ragione) che darebbero per scontati accordi col Premier. Sta di fatto che, soprattutto per quanto riguarda i fragili equilibri in Senato, questa situazione potrebbe creare qualche disagio al governo, in particolar modo in occasione della "lettura" del disegno di legge costituzionale che cambia il bicameralismo e il Titolo V della Carta repubblicana. Sul contestato punto dell'elettività dei futuri senatori, infatti, i centristi hanno sensibilità un po' diverse da quella della maggioranza del Pd: alcuni non sembrano distanti dalle posizioni della minoranza dei Democratici e da quelle di Forza Italia e Lega. A maggior ragione, se certi voti diventassero indispensabili per evitare sorprese in Aula, l'ipotesi di uno scambio fra il via libera al ddl e la modifica all'Italicum col ritorno al premio di coalizione potrebbe sedurre i centristi, che dall'intesa guadagnerebbero la possibilità di conservare simbolo, autonomia (sia pure in alleanza con altri partiti), liste proprie e peso politico determinante (un partito centrista che si alleasse col Pd o con Lega-FI potrebbe far pendere la bilancia del ballottaggio, sia pure per pochi voti, a favore dell'uno o degli altri). Va poi considerato che con l'Italicum, in mancanza di accordi nel centrodestra, la presentazione di listoni separati e concorrenti (uno moderato formato da centristi e forzisti, l'altro radicale con leghisti e FdI) potrebbe fare il gioco del terzo incomodo, permettendo al M5S di andare al ballottaggio col Pd. Il ritorno alle coalizioni toglierebbe verosimilmente spazio ai grillini, ripristinando il "duello bipolare" tradizionale della Seconda Repubblica fra centrosinistra e centrodestra. Ma c'è di più: anche col 3-4% dei voti, un partito centrista - coalizzato col Pd o con Lega-FI-FdI - avrebbe almeno 25-30 dei 340 seggi spettanti alla coalizione vincitrice alla Camera. In altre parole, sarebbe indispensabile per governare e avrebbe, in termini di incarichi di governo e istituzionali, un ritorno di sicuro molto superiore al semplice peso numerico. Renzi, dunque, farebbe bene a considerare come possibili interlocutori, in questa fase, non soltanto la minoranza Pd, Verdini e Forza Italia, ma anche i centristi. Non solo per il contingente passaggio politico, ma perchè sono determinanti per la sopravvivenza del governo e perchè - quando fra qualche mese si arriverà alla "lettura" finale del ddl costituzionale, i loro voti saranno probabilmente indispensabili per superare quota 161 (non richiesta in queste settimane, ma al termine del percorso). In ogni caso, anche se la battaglia per la riforma del Senato fosse vinta da Renzi (pur senza concessioni ad alcuno e senza richieste centriste) il problema del posizionamento - in particolare, di quello del Ncd - continuerebbe a porsi, in modo sempre più pressante con l'avvicinarsi della scadenza (anticipata o naturale) della legislatura. Il che potrebbe creare turbolenze parlamentari non facili da gestire, anche considerando che Berlusconi sembra sempre sull'uscio, pronto a mettere (o a promettere: non è chiaro) sul piatto della bilancia il suo residuo peso parlamentare nel caso in cui venissero a mancare i numeri sufficienti per far restare Renzi a Palazzo Chigi. C’è, infine, un ulteriore aspetto da approfondire: i centristi fanno parte della "famiglia europea" del PPE (i popolari) mentre il Pd aderisce al PSE (i socialisti). L'attuale coalizione di governo e un eventuale listone elettorale o alleanza futura per le politiche sarebbero dunque da considerarsi come piccole "grandi coalizioni" fra forze eterogenee? In Europa, forse. Ma in Italia, viste le convergenze programmatiche, considerato che nel centrosinistra ci sono sempre stati partiti "popolari" (Margherita, Popolari per Prodi) e dati i trascorsi di quasi 30 anni fra il 1962 e il 1992 (e i tanti governi Dc-Psi) un’obiezione di “incompatibilità” non può certo essere considerata insuperabile.

 

 

 

 

* Analista politico e studioso di sistemi elettorali

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