L’Unione europea tra idolatria e scetticismo
Si parla spesso di Unione europea come se questa entità fosse un dato indiscutibile e la sua unificazione a tutto tondo un fine ineluttabile. Ci si dimentica, però, che, per esistere, essa deve avere consenso, deve in qualche modo soddisfare i bisogni dei contraenti, fin dalla base individuale che compone ogni soggetto collettivo. Insomma, l’Unione rispetta gli individui che la formano? Gode della loro necessaria fiducia? Diciamo che il bilancio è contradditorio e richiede perlomeno un’analisi critica.
Tale è l’obiettivo che si prefigge un volumetto, curato da Federico Cartelli, che già nel titolo enfatizza l’aspra critica al dogma europeista contenuta al suo interno, (Dis)Unione europea (Historica edizioni, 2019, 14 €). Tuttavia, è forse ancora più importante il sottotitolo, giacché indica non uno sproloquio privo di ragioni, urlato e pulsionale, bensì una critica argomentata e puntuale all’Unione europea come progetto di ingegneria sociale. Infatti, Per un euroscetticismo razionale vuole smontare in modo discorsivo, ma non per questo banale, quello che Nicola Porro nella prefazione al volume definisce “il totem europeo”, ovvero una sorta di divinità pagana che va adorata. Che cos’è diventata l’Unione? È un corpo appesantito dalla volontà di omogeneizzare un continente che, se è grandioso nella sua unicità, è proprio perché non è omogeneo e non è univoco. Quest’area geografica, l’Europa, va ricordato ogni tanto, pur se intrattiene dei nessi con la costruzione integrazionista, non può essere sovrapposta all’Unione, come ricorda Marco Gervasoni nel suo intervento. Essa vive di plurivocità e di libertà nella diversità. Al contrario, il processo volto alla costruzione dell’unità politica trai suoi aderenti mira a uniformare, appiattire le differenze, costruire armonia tra le sue parti. Come ben evidenzia Cartelli, l’Unione, lo si voglia o no, è al momento assai divisa. Infatti, è attraversata da almeno quattro sostanziali faglie: gruppo di Visegrad/Bruxelles, Regno Unito/Bruxelles, una sorta di nuova Lega Anseatica (Paesi scandinavi, baltici e Paesi Bassi) contraria a un’Unione centralistica e unita, ed infine la frattura che vede contrapposti l’Europa settentrionale e quella meridionale.
Ad ogni modo, l’Unione vive di luci ed ombre. Da un lato, essa ho promosso le quattro libertà fondamentali e ha reso possibile la pace nel Continente, dall’altro ha la tendenza a regolamentare sempre più la vita dei suoi cittadini e a ingigantire il suo potere, a scapito della libertà individuale. Se consideriamo quest’aspetto, allora, l’uscita del Regno Unito dal processo di integrazione può essere esiziale. Come mostra bene Giovanni Sallusti nel suo contributo al volume, per questioni storiche e anche valoriali – dopo tutto non si tratta della patria del liberalismo? – è stato uno straordinario contropotere al paradigma interventista di stampo ingegneristico-pedagogico perseguito da Bruxelles. E la sua uscita definitiva potrebbe in tal senso compromettere la resistenza alla visione europeista mainstream che vede nella regolamentazione e nell’imposizione la sua ragion d’essere.
Si tratta insomma di capire dove vuole andare l’Unione e, soprattutto, quale valore vorrà prediligere: se continuerà sulla strada dell’eguaglianza uniformatrice, la matrice europea a poco a poco sbiadirà; se tornerà a fare proprio un paradigma maggiormente improntato alla libertà, allora forse non tutto sarà perduto. Come scrive nel saggio conclusivo Carlo Lottieri – il più eterodosso, in quanto pone sullo stesso piano europeisti e sovranisti: entrambi considerano le istituzioni pubbliche nel solco della sovranità statuale – in ogni caso «i problemi che l’Unione adesso conosce sono in larga misura il risultato di un progetto dirigista e di una gestione elitaria, lontani dalla sensibilità della gente comune, orientati a imporre ovunque un certo modello di società e diritto». La storia non ha un telos e il futuro è aperto: basta voler aprire gli occhi.
* Dottorando in Scienze politiche presso la Luiss Guido Carli di Roma.
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