La sicurezza sui posti di lavoro è un principio di civiltà giuridica
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In tema di sicurezza non va trascurato quanto essa sia importante – oltre che nella vita sociale in generale – anche sui posti di lavoro: è un aspetto del più ampio contenitore della sicurezza individuale e collettiva, come principio di civiltà giuridica per il quale esistono previsioni normative di tutela ma del quale ci si ricorda in occasione di fatti di cronaca purtroppo ricorrenti e in crescita. Nei primi dieci mesi del 2024 sono stati ben 890 i morti sul lavoro, 22 persone in più rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, con un aumento del 2,5 %.
La recentissima tragedia di Calenzano e altri episodi successivi a questa rilevazione dell’INAIL ci mettono di fronte ad una evidenza che non è più possibile ignorare: è lo stesso Presidente della Repubblica a ricordarlo con autorevolezza e intensità, usando toni che richiamano una sorta di piaga sociale a cui occorre porre rimedio.
Il decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, recante “Attuazione dell‘articolo 1 della legge 3 agosto 2007, n. 123, in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro” definisce e regolamenta in Italia tutta la normativa in materia di sicurezza sul lavoro. Questo decreto è comunemente conosciuto come Testo Unico sulla salute e sicurezza sul lavoro” e – oltre a statuire una regolamentazione nazionale in materia – recepisce altresì le direttive della Comunità Europea. Il testo normativo, in particolare, prevede un modello partecipativo della valutazione dei rischi finalizzato a programmare la prevenzione contro gli infortuni e altri danni alla salute del lavoratore. Successivamente il decreto è stato oggetto di integrazioni e modifiche legislative: a questo testo si fa costante riferimento perché contiene la disciplina vigente in materia di salute e sicurezza, da intendersi come quell’insieme di interventi che devono essere adottati per tutelare l’incolumità e la salute dei lavoratori durante lo svolgimento della loro attività. Il decreto legislativo n. 81 del 2008 si rivolge ad imprese, enti e pubbliche amministrazioni. Il suo campo di applicazione investe tutti quei settori - pubblici o privati, non esiste differenza - in cui sono impiegati lavoratori dipendenti e subordinati.
Si può dire – sulla base dei dati statistici - che ogni giorno si verificano incidenti gravi o mortali: questi fatti accadono in tutto il mondo nonostante le previsioni normative di tutela generalmente estese ma sono tuttavia decisamente rilevanti e frequenti in Italia, vuoi per circostanze dovute a disattenzione o incuria, negligenza o mancata attuazione di misure preventive, raramente anche per fatalità: è significativo però che le Procure aprano ogni volta un fascicolo per accertare eventuali responsabilità dolose o colpose.
Non esiste luogo di lavoro che sia immune da questa amara constatazione anche se vi sono contesti a più alto tasso di sovraesposizione al rischio: in genere si riferiscono ad attività manuali o all’uso di macchinari o alla manipolazione di prodotti di potenziale tossicità: leggendo i dati pubblicati sul portale dell’INAIL risulta che il settore più colpito sia quello delle costruzioni (141 vittime nel periodo di rilevazione) seguito dall’industria manifatturiera con 122 morti e i trasporti e la logistica con 103 decessi. Inoltre per 216 degli 890 lavoratori morti da inizio anno non è reso noto il settore in cui operavano mentre la fascia d'età più colpita è quella compresa tra i 51 ed i 60 anni (sono 294 le persone di questo target sociale morte sul lavoro da gennaio a ottobre 2024), in genere si tratta dunque di soggetti alla soglia della pensione. Va inoltre evidenziato come buona parte di queste vittime sia riconducibile al lavoro nero come pure a cittadini extracomunitari non regolarizzati o sottopagati: la natura ‘occultata’ di questa tipologia di lavoratori non consente stime accertabili.
Emblematico il caso di quel bracciante di origini indiane operante in un’azienda agricola della provincia di Latina che era stato abbandonato morente davanti a casa nel giugno u.s. e il cui braccio amputato era stato messo in una cassetta di verdure: una vicenda che aveva scosso e commosso l’opinione pubblica.
Ma anche il dato delle denunce di infortuni nel periodo considerato dall’INAIL è rilevante: se ne sono contate 491.439 (+0,4% rispetto allo stesso periodo del 2023), con un aumento degli incidenti in itinere, nel tragitto casa- posto di lavoro (da 196 a 233). Quanto alle patologie professionali rilevate il loro numero è considerevole, pari a 73.922 con un aumento del 22,3% rispetto all’anno precedente.
Viviamo in un’epoca in cui si fa largo uso di dati e statistiche, anche per accertare le condizioni esistenziali ricorrenti, siano esse riferite a situazioni di marginalità, povertà, deprivazione di tutele sanitarie, sulle quali si elaborano rapporti ed indagini sociali: quanto rilevato dall’INAIL ha una sua specificità sulla base delle evidenze accertate, basti riflettere sull’incipit Costituzionale per cui la Repubblica italiana è fondata sul lavoro.
Esso dovrebbe essere un motivo di realizzazione personale concorrendo al perseguimento di un bene collettivo, inoltre – sul piano generazionale e sociale – un’occasione di riscatto, il volano della crescita economica del Paese, l’ascensore che permette di elevare le condizioni di vita. Molto spesso si rivela purtroppo una trappola micidiale: uno esce al mattino di casa per recarsi al lavoro senza più farvi ritorno, lasciando nel dolore famiglia e affetti. E’ una spirale perversa e atroce che occorrerebbe spezzare perché la tutela del lavoro come fondamento dell’interesse individuale e sociale è un principio giuridico di civiltà a cui non si può derogare.
di Francesco Provinciali *